di Giulia Beccari
“Se per scoprire che la Parmalat falsificava i bilanci abbiamo dovuto attendere il crack della più nota azienda alimentare italiana, per trovare nelle cantine parmensi del suo patron parte del tesoro abbiamo dovuto attendere un’inchiesta giornalistica di Report.
Cosa che la dice molto lunga su quali coperture possa tuttora contare la famiglia Tanzi e sul perché la magistratura e gli organi di controllo non abbiano mai svolto alcuna tempestiva indagine per evitare uno dei più colossali dissesti finanziari” (N.d.R.).
Già nel gennaio 2004 il legale dei Comitato creditori di Parmalat, Avv. Zauli, denunciava pubblicamente come i Tanzi avrebbero portato all’estero 7 miliardi di dollari.
Otto banche italiane nel giro di tre anni avrebbero accreditato i soldi su un conto della Bank of America, poi trasferito a Malta. Quel tesoro che gli investigatori non hanno mai trovato come del resto quelle preziose tele clamorosamente scoperte da Report del valore di oltre 100 milioni di euro, conservate indisturbatamente nella stessa città deputata a svolgere le indagini.
E, segnatamente, nelle cantine e soffitte degli stessi parenti del cattolicissimo bancarottiere, che contava evidentemente di restare impunito e su alte complicità istituzionali.
“Ci sono sette miliardi di dollari in una banca Usa”, indicando anche il n. di conto 8660001841 della Bank of America, sede di New York, così affermava al Tg finanziario di Tg. com, l’avvocato Carlo Zauli, legale del Comitato creditori di Parmalat, nel gennaio 2004, ricostruendo con dovizia di particolari tutti i passaggi del denaro. Dai caveaux di alcuni istituti di credito italiani (primo tra tutti la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza, che ora fa parte del gruppo Banca Intesa) il denaro sarebbe passato, in diverse tranche, negli uffici della Bank of America di Milano. Operazioni che presero del tempo: dal 1999 al 2002. Poi con un’operazione di compensazione i soldi sarebbero stati trasferiti dalla sede italiana della Bank of America a quella di New York, che li avrebbe prontamente investiti in bond dello stato americano. Alla Federal Reserve, secondo Zauli, i sette miliardi, risulterebbero come fondi riconducibili al gruppo di Collecchio.Nell’operazione sarebbero coinvolte almeno otto banche italiane, di cui Zauli faceva i nomi. Oltre alla Cassa di Risparmio di Parma, i soldi sarebbero passati attraverso l’Unicredito (1,2 miliardi di dollari), dal San Paolo Imi (790 milioni), dal Monte Paschi di Siena (355 milioni), dal gruppo Capitalia (287 milioni). E ancora dalla Banca Monte Parma e dalla Banca di Piacenza (621 milioni) fino alla Banca Popolare Lodi (816 milioni).
Beneficiaria dei profitti generati dai 7 miliardi di bond americani depositati alla Bank of America sarebbe stata, attraverso la Central Bank of Malta, una società che che faceva capo direttamente a Calisto, Stefano, Francesca e Giovanni Tanzi. E naturalmente a Fausto Tonna.
Carlo Zauli ricostruiva i passaggi di denaro avvalendosi della collaborazione di un team di esperti investigatori di diversi paesi, depositando presso la sezione fallimentare del Tribunale di Parma un ricorso mirato ad ottenere il sequestro delle enormi somme che sembra si trovassero negli Stati Uniti e a Malta. Ma per ora nessuno ha pagato e nessuno è stato risarcito.
Anzi il figlio di Tanzi ha patteggiato sia nel processo instaurato a Milano che a Parma e grazie all’indulto non ha scontato la pena in carcere e sia lui che Tonna hanno agito in giudizio contro la nuova Parmalat per essere risarciti per gli stipendi arretrati, TFR e ferie non godute.
Entrambi sono stati riconosciuti creditori privilegiati cioè soggetti che hanno diritto ad essere risarciti prima dei risparmiatori qualificati come creditori chirografari come i piccoli azionisti.
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LA PISTA MASSONICA. ALLA RICERCA DEI TESORI SCOMPARSI di Solange Manfredi
(in calce)
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INCHIESTA GIORNALISTICA SCOPRE PARTE DEL TESORO DI TANZI
Sono passati ben sei anni dal 17 dicembre 2003, quando venne scoperto che la società per azioni Parmalat, una delle più note aziende italiane del settore alimentare, era indebitata per una cifra record di 14 miliardi di euro e votata al fallimento.
Decorsi 5 anni dal crac, è iniziato a Parma il più importante processo europeo per bancarotta fraudolenta e associazione a delinquere in cui Tanzi e il suo braccio destro, Fausto Tonna, direttore finanziario, sono accusati di aver falsificato i bilanci e di aver sottratto capitale dalle casse dell’azienda.
Fino ad oggi è stata emanata una sola sentenza di 1° grado che condanna Calisto Tanzi a 10 anni per aggiotaggio e ostacolo all’attività di vigilanza, mentre quasi tutti gli altri imputati sono stati assolti.
Grazie però alla legge Cirielli, avendo compiuto il settantesimo anno di età, l’ex patron di Collecchio può stare sicuro che in carcere non ci tornerà più.
La procura di Milano ha ricorso in appello contro la decisione di primo grado.
Auspicando che la corte d’appello milanese si pronunci a breve sulla questione, essendoci la possibilità che entrino in vigore nuove le disposizioni sul processo breve (su proposta del Popolo delle Libertà) in base alle quali il tempo massimo del processo dovrà essere di sei anni, due per ognuno dei tre gradi di giudizio, producendo l’effetto di lasciare impuniti la maggior parte degli imputati del caso Parmalat. Poiché visto il tempo già trascorso si rischierebbe la prescrizione.
La domanda più ricorrente, che sembra aver trovato parzialmente risposta è: come si è creato questo buco di 14 miliardi di euro, visto che Parmalat era una azienda multinazionale con quote di mercato in crescita? E’ possibile che i fondi siano stati sottratti e occultati? I creditori e i piccoli azionisti lesi dal fallimento della società se lo domandano ogni giorno.
Anche gli inquirenti sono convinti che esiste un tesoro della famiglia Tanzi, malgrado Calisto abbia ripetutamente negato, tanto che nel corso dell’interrogatorio in tribunale aveva recentemente affermato che: “non c’è un euro in giro per il mondo, nascosto in conti esteri intestati a Tanzi.”
Ma a rendere dubbia questa affermazione è innanzitutto il viaggio di Natale con la moglie a Quito in Equador, poco prima di essere arrestato, dove è stato raggiunto dal commercialista Corno e da Ettore Giugovaz manager della Bonatti, industria di costruzioni controllata da Calisto, che successivamente si trasferisce in Equador per gestire appalti petroliferi della Bonatti e che è uscito dal processo patteggiando l’accusa di concorso nella bancarotta di Collecchio.
È stato un viaggio di piacere come afferma il Cavaliere o è stato nascosto qualcosa ?
Ma ecco il colpo di scena grazie a un indagine giornalistica trasmessa da “Report ” in onda sui Rai 3 il 29 novembre 2009: viene intervistato un uomo della scorta di Tanzi che afferma di essere stato testimone di un viaggio organizzato per trasportare “opere d’arte e altri oggetti di valore…fino al confine svizzero” e poi di averne perso le tracce.
Tra le opera d’arte da lui citate vi sono Monet, Manet, Van Gogh…
Il 5 dicembre 2009, le fiamme gialle del nucleo tributario del capoluogo emiliano hanno ritrovato nelle cantine e soffitte di tre appartamenti parmensi e dintorni, di proprietà dei familiari del Cavaliere, una molteplicità di dipinti di sommo valore per i quali, come il procuratore di Parma ha spiegato, erano già in atto delle trattative di vendita. Infatti a seguito delle intercettazioni effettuate, prima delle incursioni nei rispettivi appartamenti, i pubblici ministeri Lucia Russo e Vincenzo Piciotti sono convinti che le opere sarebbero state acquistate da compratori russi.
E’ paradossale che si debba attendere un’ inchiesta di Report per far partire le indagini e che gli organi di polizia abbiano meno informazioni che i giornalisti.
Sicuramente ci fa sperare nell’esistenza di un di giornalismo libero, indipendente e al servizio della comunità e non dei centri di potere.
Ma focalizziamo l’attenzione sui risparmiatori: l’anno precedente al crollo del gruppo Parmalat, dichiarato ufficialmente il 27 dicembre 2003, le obbligazioni del gruppo di proprietà di varie banche tra cui: Citibank, Intesa, Bnl, Capitalia, Sanpaolo Imi, Banca Popolare di Milano ( Bpm), Deutsche Bank e molte altre, per un valore di circa 200 milioni di euro, furono vendute con l’inganno ai risparmiatori che a seguito del crollo hanno perso tutti i loro risparmi.
Il nuovo amministratore delegato di Parmalat, Bondi, ha intrapreso un’azione legale contro le banche creditrici accusandole di aver emesso bond tossici pur essendo consapevoli delle ingenti perdite registrate nei bilanci aziendali.
Ma per ora nessuno ha pagato e nessuno è stato risarcito, anzi il figlio di Tanzi ha patteggiato sia nel processo instaurato a Milano che a Parma e grazie all’indulto non ha scontato la pena in carcere e sia lui che Tonna hanno agito in giudizio contro la nuova Parmalat per essere risarciti per gli stipendi arretrati, TFR e ferie non godute.
Entrambi sono stati riconosciuti creditori privilegiati cioè soggetti che hanno diritto ad essere risarciti prima dei risparmiatori qualificati come creditori chirografari come i piccoli azionisti.
Una parte dei risparmiatori lesi, più precisamente 35 mila parti civili, sono rappresentate e difese in giudizio dall’ Avv. Federico Grosso, legale del comitato dei creditori Parmalat Imi San Paolo il quale afferma nell’intervista della trasmissione report che : ” con le transazioni fatte, con una società di revisioni Deloitte e poi con 6 banche siamo riusciti ad ottenere al momento, con soldi già pagati o comunque trasazioni firmate il 25, 26% del valore nominale dei titoli.”
Anche qualcosa si sta incominciando a muoversi, molti sono dubbiosi che questo processo possa giungere a una conclusione, il timore proviene anche a causa della dalla proposta del Ministro Alfano di modificare l’art. 190 rendendo ammissibile la possibilità di richiedere testimoni senza filtro del giudice.
Se ciò accadesse, solo per sentire tutti i testimoni chiamati dalla difesa si impiegherebbero anni e i processi cadrebbero in prescrizione.
Giulia Beccari (postato il 2.1.2010)