A cura di Pietro Palau Giovannetti (Presidente Avvocati senza Frontiere)
Il mondo non ha bisogno di eroi, ma di esempi virtuosi di uomini che lottano con coraggio civile e coerenza per l’affermazione dei valori universali di umanità, solidarietà, giustizia sociale e uguaglianza di fronte alla legge. Mimmo Lucano ha subito il carcere nel tentativo di abbattere i muri dell’ingiustizia, dell’odio, dell’intolleranza, dell’indifferenza e dell’ignoranza, che da millenni separano e soggiogano l’umanità, consentendo il controllo sociale delle élite dominanti sui governati.
A Domenico Lucano, “colpevole” di aver promosso il «modello Riace», apprezzato in tutto il mondo, tanto da essere stato riconosciuto nel 2010 come uno dei migliori Sindaci a livello mondiale, nel nostro strano Paese, dove la giustizia è amministrata per bande e fazioni politiche, sono stati invece contestati persecutoriamente una ventina di farneticanti accuse, in buona parte cadute, a partire dall’associazione per delinquere, truffa, concussione, malversazione, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, etc., solo per aver aiutato alla luce del sole migranti e rifugiati a trovare asilo e a regolarizzarsi in Italia.
Sosteniamo la sua candidatura, affinché ognuno di noi faccia la sua parte e la politica e la giustizia vengano effettivamente concepite e amministrate per l’interesse collettivo e in nome del popolo italiano. Se tutti trovassimo il coraggio di opporci al male istituzionalizzato e all’ingiustizia che ogni giorno viviamo e subiamo, spesso in silenzio nelle nostre realtà, il mondo sarebbe un luogo diverso e meraviglioso, autogovernato dal buon senso comune, libero dalla povertà, dalla paura e dalle guerre, dove a prevalere sono i valori universali e il rispetto della dignità della vita di ogni essere umano.
A parere dei giudici della locride, terra, invece, governata dalle ‘Ndrine, Mimmo Lucano «Non può fare il sindaco», in quanto sarebbe a loro dire: “Un Lucano proteso a portare avanti quel modello Riace del quale si era innamorato al di là di ogni iniziale buona intenzione, che ha perso di vista i veri valori della effettività della integrazione e dell’accoglienza. Un uomo in preda al “suo delirio di onnipotenza e socialmente pericoloso”. Si, è proprio scritto così (sic!): «Socialmente pericoloso».
Questa è solo una minima parte delle motivazioni shock contenute nelle 150 pagine dell’ordinanza del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, emessa il 16/10/2018, che ha riformato gli arresti domiciliari nel divieto di dimora a Riace. Una misura che è apparsa a tutti gli osservatori come una pena ancora più liberticida e umiliante, perché impedisce ad un Sindaco per bene, animato da puro spirito di solidarietà e di giustizia, di continuare a svolgere il suo lavoro, vicino alla sua gente, dipingendolo come un uomo che non saprebbe fermarsi dinanzi ad alcun dettame normativo e dinanzi ad alcun divieto.
Solo per questo, s’assume, gli è stato vietato di ricoprire cariche pubbliche e di gestire denaro pubblico. E, non già, ad avviso di molti, perché perseguiva un modello scomodo ai quei poteri criminali che, indisturbatamente, controllano il territorio, con la complicità dei governi di ogni colore politico e delle Autorità che dagli albori della Repubblica italiana avrebbero dovuto contrastare le mafie. Ed, invece, oggi, dopo aver teorizzato la necessità di una “costituzionalizzazione delle mafie“, ad opera dello storico ideologo della Lega Nord Gianfranco Miglio, preferiscono accanirsi contro il mite Sindaco di Riace, lasciando mano libera alla criminalità massomafiosa di rapinare le risorse pubbliche. Mentre, la lotta alla corruzione, quella vera, e alle mafie, che soffocano la democrazia, è come sempre affidata ai soliti roboanti proclami del Ministro di turno: “la mafia e la ‘ndrangheta mi fanno schifo“, ripete come un mantra Matteo Salvini, durante una sua recente visita. “La ‘ndrangheta è una merda – afferma testualmente – un cancro, che si è allargato a tutta l’Italia“. Ma, che nessun governo da oltre 50 anni a questa parte, ha mai seriamente inteso contrastare, creando lavoro, occupazione, sviluppo, cultura e buona amministrazione della cosa pubblica.
E’ ormai fin troppo chiaro sia più comodo per chi ci governa che i profughi siano percepiti solo come fonte di conflittualità, piuttosto che come un’occasione per rivitalizzare la nostra cultura e l’economia solidale, come accaduto a Riace con la rinascita del piccolo borgo della Locride, dove i profughi hanno permesso di vincere lo spopolamento, riaprire botteghe storiche, affittare case vuote e mantenere aperti scuola e asilo, dando vita, addirittura, ad una moneta complementare locale, considerata in tutto il mondo, come uno dei punti di forza del sistema di accoglienza, a cui dal 2003 hanno già aderito ben 194 Comuni della Calabria. Una rete di Comuni solidali che hanno dato vita al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata, che è stata tanto osteggiata e boicottata anche dal Viminale.
Noi affermiamo che forzare i limiti di leggi inique e ottuse che costringono svariate centinaia di migliaia di esseri umani, che fuggono dalle guerre e dalla povertà, a venire considerati come criminali e clandestini, ovvero a rimanere emarginati nella zona grigia dell’irregolarità che produce criminalità e sfruttamento, non è un reato, ma un gesto di solidarietà e di necessaria resistenza civile.
Sono ben altri i crimini e i soggetti veramente socialmente pericolosi che dovrebbero venire perseguiti, a partire dai molti lobbisti e politici che siedono in parlamento. Certamente non il Sindaco di Riace.
Se la solidarietà è reato, venite a prendere anche noi.
Da più parti, sono in molti a ritenere che in questo momento storico per realizzare un effettivo cambiamento sociale sia cruciale riscoprire la disobbedienza civile, quale rifiuto legittimo di gruppi organizzati di cittadini onesti di obbedire a leggi inique. Una forma pacifica di protesta ideata ed attuata per la prima volta da Henry David Thoreau, imprigionato nel 1846 per essersi rifiutato di pagare la poll-tax, per finanziare la guerra schiavista contro il Messico. Eppoi, seguita dal Mahatma Gandhi con la marcia del sale contro il monopolio britannico, che rappresentò una fase decisiva nel processo d’indipendenza dell’India. Il quale affermava: “noi cessiamo di collaborare coi nostri governanti quando le loro azioni ci sembrano ingiuste. Questa è la resistenza passiva“. Ed ancora, da Martin Luther King, negli anni ’60, contro la discriminazione razziale. Eppoi, dai giovani americani, per fare cessare la guerra in Vietnam, rifiutandosi di ottemperare all’obbligo del servizio di leva. Esempio seguito in Italia, da Don Milani, con il suo saggio “L’obbedienza non è più una virtù”, appoggiando l’obiezione di coscienza contro il servizio militare.
Anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati a Ginevra, il giorno dopo l’ingiustificata privazione della libertà subita da Mimmo Lucano, ad opera di una magistratura di regime più incline a mantenere lo status quo, piuttosto che a tutelare i diritti dei soggetti più deboli, ha espresso la sua apprensione per l’arresto del Sindaco di Riace, che noi abbiamo da subito condiviso, denunciando il carattere persecutorio del provvedimento restrittivo, che tanto ricorda le misure del «confino» (o domicilio coatto) nel passato ventennio, ai tempi del fascismo contro i dissidenti politici.
L’UNHCR segue quanto sta accadendo a Riace con grande apprensione perché il sindaco Domenico Lucano, arrestato ieri con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, è diventato un po’ il simbolo dell’Italia che accoglie.
Ci auguriamo che sia fatta piena luce sui fatti a lui attribuiti, e nel frattempo esprimiamo preoccupazione e rammarico per la condizione di coloro che, migranti e rifugiati, temono ora di aver perso una guida che in questi anni li ha costantemente supportati.
Nella Giornata nazionale della memoria e dell’accoglienza, istituita per ricordare la tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013 e l’importanza dei valori di umanità e solidarietà nel rispondere alle esigenze di coloro che fuggono da guerre e persecuzione, ricordiamo con forza che l’accoglienza richiede dialogo e condivisione, anziché scontro e avversione.
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