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DAI “GILET GIALLI” ALLA RIVOLUZIONE POST-IDEOLOGICA E NONVIOLENTA. ASSALTO PACIFICO AL PARLAMENTO EUROPEO

sabato 19th, Gennaio 2019 / 22:48 Written by

Sono stati trattati come un problema di ordine pubblico, tanto da paventare un pericolo di colpo di Stato, mobilitando oltre 90.000 poliziotti in tenuta antisommossa, con ordine di sparare sulla folla proiettili di gomma e di usare cannoni con acqua e gas lacrimogeni – uso indiscriminato della forza che ha creato già ben 12 morti, con migliaia di feriti e arrestati in tutta la Francia.  E, non già, come una questione politica, emblematica di un diffuso malcontento e disagio nelle fasce più sensibili della popolazione, fino ai ceti medi, nei confronti delle politiche liberticide e di austerità dell’ennesimo “governo del cambiamento” di turno che, more solito, ha tradito ogni sua promessa.

Non si vuole, insomma, ancora una volta vedere e curare, esattamente come nell’ancien régime, le cause all’origine della mobilitazione di un intero popolo, che sta attraversando tutta la Francia, coinvolgendo, da oltre 2 mesi, ogni fine settimana, centinaia di migliaia di cittadini (con punte di 300.000), che godono, secondo i sondaggi, del sostegno dell’85% dei francesi, i quali si dichiarano d’accordo con i gilet gialli, di cui l’esecutivo cerca di soffocare ogni rivendicazione con la repressione violenta, provocando disordini che si stanno estendendo anche ad altri Paesi europei.

A Bruxelles, lo scorso 10/12 è stato pacificamente preso d’assalto il Parlamento Europeo, in segno dell’insofferenza dei gilet gialli verso le politiche della U.E., mentre le proteste hanno interessato anche Amsterdam, Rotterdam, l’Aja. E presto potrebbero colpire anche l’Italia, la Germania e l’Ungheria.

LA FRANCIA SI PREPARA AD ALTRI BAGNI DI SANGUE?

A due mesi dalla prima mobilitazione nazionale del 17/11 u.s., la Francia che non si lascia intimidire e non si arrende alla violenza, torna nuovamente, oggi, in piazza, mentre scriviamo, preannunciando un minuto di silenzio in omaggio ai morti e ai feriti, offrendo loro rose e candele accese. Quello di oggi è il “decimo atto” della protesta che da Parigi si è estesa alle principali città francesi.

Da parte nostra abbiamo aderito alla campagna virale per fermare la violenza di Stato, invitando su twitter e fb i nostri lettori a fare altrettanto, sostenendo i fratelli francesi.

macron gilet

Sui muri in tutta la Francia sono apparsi manifesti-shock con le immagini molto forti delle violenze subite dai manifestanti: Macron con la bocca insanguinata; la ministra Marlene Schiappa piena di lividi; il primo ministro Edoarde Philippe che perde sangue. Sotto i volti “deturnati” dei membri del governo, le didascalie esplicative con le storie VERE dei manifestanti mutilati dall’uso di proiettili di gomma e lacrimogeni, tra cui uno studente che a Parigi ha perso un occhio e tre giornalisti feriti.

L’obiettivo della campagna è di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla violenza indiscriminata – e, molto spesso gratuita delle forze dell’ordine, per mettere a tacere la civile protesta dei gilet gialli. Mentre le Autorità, invece di dialogare con i cittadini e comprendere le origini della mobilitazione, sono impegnate a denunciare esclusivamente le violenze di isolati gruppi di manifestanti infiltrati, esattamente come accadde durante il G8 di Genova, e non rilasciano dichiarazioni sull’uso improprio delle armi da parte della Gendarmeria contro i civili. Cristophe Castaner, ex ministro dell’Interno, preferisce ad esempio concentrarsi sull’episodio di cui si è reso protagonista il pugile Dettinger, l’uomo che affrontò a mani nude diversi poliziotti in assetto anti-sommossa.

La Commissione Europea, su esplicita richiesta dei giornalisti, si è invece, singolarmente rifiutata, di valutare la proporzionalità dell’uso della forza da parte delle forze dell’ordine contro i manifestanti del movimento di protesta dei gilet gialli francesi e tre reporter che sono rimasti feriti dalle flash-ball della polizia. Il portavoce della Commissione Europea, Margaritis Schinas, ha dichiarato ai giornalisti a Bruxelles, che “Tradizionalmente non commentiamo le azioni delle forze dell’ordine degli Stati membri della UE”. Ignorando che, intanto, la protesta si è spostata allo stesso Parlamento Europeo, a Bruxelles, dove la polizia ha respinto un tentativo di pacifica invasione di gilet gialli, effettuando oltre 400 fermi in una sola giornata, mentre la protesta si sta estendendo ad altre città europee.

CHI SONO VERAMENTE I GILET GIALLI? E COSA VOGLIONO?

Sono emersi dal nulla, grazie ai social media, e hanno bloccato le strade di tutta la Francia, come risposta all’aumento delle tasse sul gasolio voluto dal presidente Macron, per ridurre l’inquinamento, incontrando la ferma opposizione degli automobilisti, in specie quelli che vivono nella Francia rurale e devono usare l’auto per qualsiasi spostamento. “Alla fine del mese, semplicemente non posso più permettermi di riempire il serbatoio per venire a lavorare in città” – spiega un uomo che vive nelle periferie. Mentre una madre lavoratrice con due figli, che indossano anche loro i gilet gialli, aggiunge: “Non siamo ricchi, ma non siamo poveri. È un attacco alle classi medie che lavorano”.

Sulla pagina Facebook “Les Gilets Jaunes”, attraverso cui il movimento è dilagato ovunque, si legge un tentativo di autodefinizione: «Il gilet giallo è una persona come te e me, che manifesta nel giorno di riposo, un ragazzo, un pensionato, un artigiano, uno studente, un disoccupato, un imprenditore, qualcuno che è a favore o contro tutto. Ma è soprattutto una persona che ha paura di non arrivare alla fine del mese. […] Ed è qualcuno che si è stufato di dover fare costantemente attenzione alle tasse, di preoccuparsi per l’età del pensionamento, e di lesinare su cibo e altre spese».

Secondo una nota dei servizi segreti interni, nessuno dei profili dei francesi, tra i 27 e i 35 anni, che hanno creato i primi eventi Facebook si discosta da questa descrizione, in quanto tutti estranei alla militanza politica e/o a legami con “gruppi a rischio”.

In realtà, il movimento dei gilet gialli, trae la sua forza e le sue radici dal più generale malcontento alle politiche di austerità, pretese dall’Unione Europea ed attuate in Francia dal governo di Macron – Philippe. E’ un movimento popolare spontaneo e trasversale, che a partire dall’aumento del prezzo del gasolio, si batte contro politiche oligarchiche in favore dei ceti più abbienti e delle élite dominanti (si pensi al già contestato “loi traval”, il cd. jobs act francese).

E’ un movimento apartitico che si sottrae ad ogni omologazione e forma di controllo. Non è di destra né di sinistra, anche se da entrambi i poli corteggiato. Non è chiaro se si svilupperà oltre i suoi confini nazionali, né quale direzione prenderà, ma, già, potrebbe essere la fucina di una rivoluzione post-ideologica e post-industriale che, come un vento del deserto, sta spazzando via le vecchie logiche, come risposta sociale alla tradizionale politica dei partiti che hanno smesso da decenni di rappresentare i ceti deboli, ponendo fine alla dittatura della finanza e a quella che Noam Chomky definisce come “nuova età imperiale”.

Edgar Morin, sociologo francese di 97 anni, ci spiega come il movimento dei gilets jaunes, inatteso, improvviso, radicale, stia rovesciando la Francia, e non solo il governo Macron. E che non si tratta di un movimento antipolitico. Né di una jacquerie estemporanea. Tutt’altro. Edgar Morin parla di «un movimento infrapolitico che sta cercando di vampirizzare i partiti di opposizione». Al tempo stesso, quello dei gilet gialli è un «movimento sovrapolitico, che fa appello alla morale in un paese dove ad essere favoriti sono coloro che sono già favoriti e ad essere sfavoriti sono coloro che sono già sfavoriti». Aggiungendo che, quanto sta accadendo in Francia: «ci costringe a rivedere i modi prevalenti di pensare alla nostra società, alla sua civiltà, alle sue carenze e miserie, sia fisiche che morali, alla nostra Repubblica, al nostro presente, al nostro futuro, e a ripensare la nostra politica».

«Nessun leader, nessuna struttura, nessuna ideologia» – prosegue Morin – «Proprio questo “niente” ha permesso di aggregare malcontento, delusioni, frustrazioni, rabbia». Precisando che «la lunga apatia dei nostri concittadini nei confronti delle molteplici restrizioni e cancellazioni chiamate riforme ha dato l’illusione della rassegnazione. Ancora una volta, un incendio stava covando nel seminterrato di un edificio che ritenevamo stabile, e la carbon tax è la breccia che l’ha fatto scoppiare». Fondamentali sono le conclusioni che ne trae, secondo cui “Aggregare non basta più: bisogna rifondare il sociale”. Come, non ci viene spiegato, affermando, però, chiaramente che: «I gilet gialli sono nati come movimento non violento che la violenza dei chasseurs e la brutale repressione della polizia hanno fatto degradare». Restando fermo, per il filosofo francese, che nel movimento vi è da preservare la sua capacità di rompere l’apatia e mettere a nudo che l’attuale crisi è, soprattutto, «crisi di fede e di fiducia nello Stato, nelle istituzioni, nei partiti, nella democrazia, in quello che i partiti chiamano il sistema pur essendo parte del sistema».

Lasciando, quindi, aperta alla scelta di ciascuno dei cittadini consociati, di trovare le risposte più adeguate, su come risolvere le contraddizioni che affliggono la società moderna e il Movimento.

QUALE FUTURO PER IL MOVIMENTO DEI «GILETS JAUNES»?

Le sorti dei gilet gialli, corteggiati anche dai leader del Movimento 5 Stelle e della Lega in Italia, dipendono, in primo luogo, dalla maturità che i cittadini francesi sapranno esprimere, senza farsi intimidire dalla violenza repressiva e dissuasiva del regime, né tantomeno attrarre dalle dinamiche dello scontro armato con le forze dell’ordine, di per sé perdente sul piano della crescente popolarità di cui il Movimento gode nell’opinione pubblica internazionale e dell’isolamento che ne deriverebbe, anche qualora si legassero a partiti di regime vecchi e nuovi o altri movimenti politici ideologizzati. Od, ancor peggio, qualora si lasciassero fagocitare nelle lotte intestine all’establishment e ai club massonici che già diedero impulso alla Rivoluzione francese finanziati dai banchieri. Oggi,  è infatti in atto uno scontro tra il Grande Oriente di Francia, noto per le sue tendenze socialiste, e altri circuiti massonici più conservatori, come il Rito Scozzese Antico e Accettato (cioè la massoneria inglese legata alla casa reale), al quale – secondo Giulio Sapelli, esperto di geopolitica –  il presidente Macron sarebbe vicino, essendo stato allievo politico di Jacques Attali (economista ed ex consigliere di François Mitterrand), il quale a sua volta sarebbe affiliato alla superloggia internazionale reazionaria «Three Eyes», fondata da Henry Kissinger, 95 anni, ex segretario di Stato Usa,  come rivelato da Gioele Magaldi, autore di un documentato saggio sulle 36 super logge (Ur-Lodges), a cui sono affiliati numerosi leader politici di livello mondiale.

In tale complesso contesto, i  gilet gialli, dapprima confinati al solo ambito francese, si stanno espandendo in ambito europeo, ma la loro protesta non è ancora arrivata a saldarsi in una strategia di movimento nonviolento internazionalista e sovrapolitico, di opposizione alla globalizzazione e al dominio delle multinazionali e superlogge che controllano Stati e governi.

Secondo, il geografo Christophe Guilluy, “il malcontento viene dai territori che sono meno produttivi economicamente, dove il tasso di disoccupazione è più stabile. Si tratta dei territori rurali, delle piccole e medie città lontane dalle grandi metropoli […] dove vivono le classi medie, gli operai, gli impiegati i lavoratori autonomi, i pensionati.” Negli ultimi 20-30 anni, queste categorie hanno subito profondi sconvolgimenti, di cui il movimento dei gilet gialli ne è la conseguenza più visibile. “Questi francesi – continua Guilluy – sono stati investiti dalla chiusura progressiva delle fabbriche e dei negozi, dalla crisi del mondo rurale e dalla desertificazione dei servizi pubblici. Tutto ciò si è dunque cristallizzato attorno alla questione centrale del potere d’acquisto”. Ma, ora, non è più una semplice protesta degli automobilisti contro l’aumento del carburante: è un moto di esasperazione generale contro le tasse, la classe politica, i funzionari statali che guadagnano troppo, la riduzione del potere d’acquisto, e soprattutto Macron.

Il geografo francese, affronta, poi, un altro elemento decisivo, ai fini dell’analisi che qui ci occupa: «Il gilet giallo medio è una persona che non è più integrata politicamente ed economicamente nella vita contemporanea francese. Questo aspetto emerge in maniera piuttosto netta in alcune interviste ad esponenti del movimento. A Radio Parleur, due manifestanti bretoni l’hanno definito “un movimento cittadino, di popolo e apolitico”, “pieno di gente che non hai militato in alcun partito”, e sul quale non può essere messo alcun cappello politico o sindacale».

Naturalmente, i partiti politici hanno provato eccome a metterci sopra il cappello. Sin dall’inizio, l’opposizione ha cavalcato la protesta per incrinare il governo Macron. La destra francese si è subito accodata ai gilet gialli, a partire da Debout la France, Rassemblement National (l’ex Front National di Marine Le Pen) e Les Républicains hanno fatto a gara, come, d’altronde, in Italia Di Maio e Salvini, offrendo, a parole, il loro sostegno, in vista delle elezioni europee, sperando di attingere consensi, creando un fronte di alleanze per stabilire assetti di potere in cui i cittadini avranno sempre minore voce in capitolo, vedendosi restringere i più elementari diritti di partecipazione, la libertà di pensiero, l’accesso alla giustizia giusta, la libertà di credo e di circolazione, il diritto di asilo dei rifugiati politici, e ogni altro valore umano e principio di solidarietà su cui è fondata la nostra Costituzione.

Per il ministro Salvini si tratta di “cittadini onesti che protestano contro un presidente che governa contro il suo popolo”. “Non mollate!”, ha invece scritto Di Maio, il quale sarebbe “felice” di poter loro spiegare il funzionamento della piattaforma digitale dei cinquestelle, “un sistema pensato”, così dice, “per un movimento orizzontale e spontaneo come il vostro”. Sottacendo, però, che chi è in grado di controllarne le dinamiche sono solo pochi eletti all’interno del MoVimento.

Secondo Le Monde, nella rivolta dei gilet gialli vi è il totale rigetto della politica dei partiti. “Moltissimi manifestanti – afferma Aline Leclerc – fanno parte di quella Francia che non vota o lascia la scheda bianca. Al momento, è dunque impossibile sapere come il movimento potrà tradursi in termini elettorali”. E, questo distacco dai partiti e intolleranza al voto, ad avviso della maggior parte degli osservatori, è la vera e unica forza che garantisce la purezza e indipendenza dei gilet gialli.

Quel che secondo noi è certo e fa ben sperare, è che il Movimento, sebbene in calo rispetto alle prime mobilitazioni, sta aumentando la sua capacità organizzativa, oltreché la sua maturità politica, la qualità degli obbiettivi e la consapevolezza della sua forza nonviolenta. E, questo nonostante la violenta repressione, fin qui subita dalle forze dell’ordine. La protesta e le manifestazioni di solidarietà stanno infatti moltiplicandosi in tutta Francia, anche da parte di attori e personalità pubbliche.

Di questa brutale violenza di Stato sono complici anche i media francesi che sottacciono che Macron abbia dato ordine di sparare ad altezza uomo sui manifestanti e di divulgare dati contraffatti, sostenendo che si tratterebbe di una esigua minoranza, mandando in onda solo spezzoni di immagini che ritraggono isolati episodi di incendi e barricate, senza dar peso a ben 12 morti e alle violenze    sistematiche consumate da oltre 2 mesi dalla polizia nei confronti di un intero popolo in lotta.

I prefetti hanno infatti ricevuto ordine di far sparire tutto quello che è giallo dalle strade.

I portavoce della protesta vengono arrestati ogni sabato senza ragione.

Gli avvocati difensori dei manifestanti vengono schedati e allontanati dai tribunali dalla polizia.

Ogni sabato si annuncia una nuova carneficina. Anche quest’oggi si sono verificati tafferugli a Parigi, vedendo mobilitati per 7000 manifestanti, oltre 5000 agenti (80.000 agenti in tutta la Francia). Con un rapporto numerico, secondo i dati ufficiali del Ministero dell’Interno, del tutto sproporzionato, tenuto conto che la manifestazione dei gilet gialli parigina che si è svolta pacificamente. E, solo alla fine, nei pressi degli Invalides, punto di partenza e arrivo del corteo, le forze dell’ordine hanno usato gas lacrimogeni e cannoni ad acqua contro i manifestanti che hanno risposto con pietre e bottiglie.

Altre manifestazioni si sono svolte a Rennes, Bordeaux, Montpellier, Tolosa, Marsiglia, Lione, Saint-Etienne, Roanne, Valence, Clermont-Ferrand, Montelimar, Digione, Nevers, Montceau-les-Mines, Tolone, Avignone, dove i manifestanti scandivano “Macron dimissioni”.

Alla mobilitazione di un intera nazione che chiede una nuova classe dirigente che rispecchi i suoi più elementari interessi, si risponde con l’ottusa incapacità di comprendere gli eventi, come ai tempi della prima rivoluzione francese: «S’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la briosche» E, cioè, se non hanno più pane che mangino brioche! Oggi, proiettili di gomma, acqua gelida e gas lacrimogeni.

Ma, se solo si imparasse a guardare la realtà con gli occhi della storia e con uno sguardo più attento alle sofferenze umane e ad una visione globale dei problemi che affliggono la moderna società, leggendo tra le pieghe degli eventi, il quadro generale e le relative soluzioni apparirebbero chiare.

UN NUOVO FENOMENO SOCIALE E MODELLO DI DEMOCRAZIA DIRETTA

Quanto sta accadendo in Francia, è indicativo dell’emergere di un nuovo fenomeno sociale, che rappresenta in embrione, una rivoluzione post-ideologica r nonviolenta, la quale esprime i bisogni fondamentali dei governati, privi di qualsiasi colorazione e rappresentanza politica. Si tratta infatti, di un movimento spontaneo e trasversale, partito dalle zone rurali e dalle periferie urbane, come risposta alla tradizionale politica, ormai lontanissima dal rappresentare i ceti deboli e i valori espressi dalla Rivoluzione francese.

La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino è rimasta inattuata, pur risalendo al 26/8/1789, allorquando gli allora rappresentanti del popolo, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio e il disprezzo dei diritti dell’uomo fossero l’unica origine delle sciagure pubbliche e della corruzione dei governi, enunciarono i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, cui si sarebbero dovuti ispirare nei secoli gli atti del potere legislativo ed esecutivo, al fine di garantire che i reclami dei cittadini potessero essere fondati su principi semplici ed incontestabili, con il risultato di mantenere sempre fede alla Costituzione, garantendo la felicità di tutti.

Sebbene tali principi siano stati, poi, consacrati e trasfusi nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata dalle Nazioni Unite, il 10/12/1948, dopo oltre due secoli siamo ben lontani dall’aver eliminato le cause delle disuguaglianze e della corruzione dei governanti che calpestano e disprezzano i diritti umani. Siamo soffocati da un neo-feudalesimo globale istituito da una élite ipertecnologica che agisce tramite una complessa rete geo-strategica a livello economico-finanziario, politico-militare, socio-culturale e di contrapposizioni ideologico-religiose. Come tutte le élite agisce per garantire gli interessi e le utilità di quanti l’hanno fondata e di coloro che se ne rendono complici.

I gilet gialli ci possono aiutare a riflettere su quale ruolo si debba assegnare alla politica, riscoprendo i valori più autentici dell’Illuminismo, che oggi devono venire nuovamente alimentati,  inventando nuove forme di governo e di democrazia diretta, capaci di rendersi uomini veramente liberi e di eliminare la povertà dalla faccia della terra.

I tanti movimenti di protesta che si stanno manifestati in tutta Europa, sono la diretta conseguenza dello sviluppo ineguale delle forze produttive, e delle disuguaglianze che ne derivano. Si noti che l’attuale crisi economica non è dovuta alla scarsità produttiva, bensì al suo esatto opposto. E, cioè, all’eccesso produttivo, che il mercato globale è incapace di assorbire, visto l’aumento esponenziale di poveri e l’allargamento della forbice, tra chi ha troppo, e chi ha sempre di meno.

Quello che manca è una visione strategica e un’istituzione sovranazionale autorevole, che potrebbe essere rappresentata dalle Nazioni Unite, che si faccia carico di contrastare con una visione politica, le disuguaglianze congenite ad uno sviluppo economico selvaggio, che sta distruggendo il pianeta.

Il movimento dei gilet gialli è emblematico di profonde contraddizioni socio-economiche mai risolte, che si sono aggravate per l’assenza di una visione politica capace di cogliere le legittime aspirazioni e rivendicazioni delle classi più deboli e disagiate. Finora, si è risposto con la violenza, ma le ragioni di fondo che hanno ispirato la nascita del movimento, sono ancora tutte li, pronte ad esplodere nuovamente. Le disuguaglianze sono infatti il tratto comune del diffuso malcontento popolare, che sta dilagando, seppure in forme diverse, in tutta Europa.

La storia insegna, che quando le contraddizioni economiche sono state affrontate con una visione politica, è nata la socialdemocrazia, che ha svolto egregiamente il ruolo di raccogliere risorse da tutti indistintamente, per ripartirle a tutti sotto forma di servizi garantiti, e questo uscendo dalla logica del profitto. Si vuole o no uscire dall’equivoco, che la salute, l’istruzione, la previdenza e la cultura non devono essere affidati alla logica del mercato, in quanto elementi rientranti nei fondamentali diritti umani, che vanno garantiti?

I Paesi del nord Europa, con il loro Stato sociale, sono l’emblema di un modello di sviluppo che una politica lungimirante, se la si volesse attuare, gli spazi li avrebbe ovunque. La precondizione affinché questo avvenga, è che si abbandoni la sottocultura dell’ognuno per sè, che rappresenta la base culturale delle politiche liberiste, dalle quali origina l’attuale smantellamento dello Stato sociale come lo abbiamo conosciuto. La storia della socialdemocrazia in Europa dimostra che occorre uno Stato autorevole, capace di tassare tutti, proporzionalmente alle loro capacità, per creare una reale redistribuzione. Potrà far storcere il naso, ma lo Stato sociale si  finanzia solo per iniziativa dello Stato, che deve avere l’autorevolezza per prendere, allo scopo di dare, e questo grazie alla tassazione. Si vuole o no uscire dalla visione miope, che lo Stato non è l’origine di tutti i mali come i liberisti sostengono, ma il fondamento di un modello socio economico, che tiene effettivamente conto di tutti, e che col suo intervento riduce le disuguaglianze? Certo occorre avere  una capacità,  e una visione politica, dove la politica si scrive con la P maiuscola.

Questo è quanto c’è da auspicarsi trovi la maturità di comprendere il Movimento dei gilet gialli, costruendo un nuovo modello di democrazia diretta dal basso, saldandosi con altri movimenti spontanei europei, facendo tesoro delle esperienze di altri popoli, che si sono affrancati dalla tirannia dei governi asserviti alla finanza internazionale e agli interessi delle banche.

C’è una storia esemplare da ricordare, emblematica della possibilità di fare scelte differenti se lo si vuole. E’ quella dell’Islanda, la cui vicenda finanziaria rappresenta l’inizio di nuovi comportamenti collettivi, che hanno sconfitto la classica visione, dove a pagare i costi dei comportamenti scellerati di pochi è sempre la collettività. Gli Islandesi hanno azzerato il debito pubblico e nazionalizzato le banche, avviando un processo di democrazia diretta e partecipata, che ha portato a stilare una nuova Costituzione. E’ la storia di una delle nazioni più ricche del mondo, che ha affrontato la crisi peggiore mai piombata addosso ad un paese industrializzato e ne è uscita nel migliore dei modi.

Anche in Italia, forse qualcosa si sta muovendo. Alcuni rappresentanti francesi dei gilet gialli hanno tenuto una conferenza a Roma. Ed è degli ultimi giorni la notizia della nascita di vari gruppi e coordinamenti di gilet gialli in Italia, con tanto di pagine facebook, che tra le varie proposte chiedono la revoca della concessione a Società Autostrade e la riduzione dei pedaggi, che sono tra i più cari d’Europa. E, in più, provocano gravissime disgrazie come quella di Genova,  causate dall’incuria e dalla scarsa manutenzione.  I gilet italiani invitano i cittadini a rifiutarsi di pagare i pedaggi se non calano i prezzi della rete autostradale italiana e se a gestirla rimangono gli speculatori privati. Alcune sere fa a Genova, una dozzina di persone ha bloccato il casello autostradale, e l’episodio è stato ripreso da molti sui social network. Chissà? Forse è solo un timido inizio o un improvvisato tentativo di emulare i cugini francesi, senza avere alle spalle una secolare tradizione rivoluzionaria. Quanto è certo, a nostro sommesso avviso, è che solo una strategia di movimento nonviolento, transnazionale e sovrapartitico, nella direzione di un saldamento orizzontale dei movimenti spontanei di lotta alla corruzione dei governi e per la Giustizia sociale potrà dar luogo a quel cambiamento epocale della Politica a cui tutti gli uomini di buona volontà aspirano da secoli.

Milano-Parigi, 19 gennaio 2019 – Postato da: Conte di Montecristo

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