1) APPELLO DI “CONTRO TUTTE LE MAFIE” di Antonio Giangrande;
2) STORIA DI UN SOTT.LE DEI CARABINIERI MOBBIZZATO di F. Di Fiore;
3) I SENZACASA SENZAVOTO di M.G. Fasoli;
4) APATIA O…NORMALE INVIDIA? di Pasquale Tivalotti;
5) IL BENE NON FA NOTIZIA di Silvia Conti;
6) LA BEFFA DEL FONDO PENSIONI COMIT di Luigi Gulizia;
7) DISTRUGGENDO L’AUTORITA’ DELLA LEGGE di Ralph Nader;
8) LE RAGIONI DELLE CONTESTAZIONI DEI G8 di Irene Schlacht;
9) LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI GLI ALTRI by Valternink.
Con questa nuova rubrica intendiamo offrire alla voce dei lettori uno spazio sempre maggiore, pubblicando tutti quegli appelli, lettere, saggi, denunce e opinioni anche satiriche che possano contribuire a portare al centro del dibattito nella società civile, l’uso distorto della giustizia e la necessità di riformare il sistema giudiziario, affinché la magistratura sia soggetta soltanto alla legge e la responsabilità civile e disciplinare trovi concreta attuazione, venendo rimessa al popolo sovrano (N.d.R.).
Appello di “Contro tutte le mafie”
di Antonio Giangrande (giurista)
Sig. Presidente,
l’associazione che mi onoro di rappresentare è promotrice, con altre associazioni di categoria, di un movimento d’opinione atto a ristabilire la volontà popolare e la reale uguaglianza di tutti i cittadini avanti alla legge.
Premesso che:
- l’art. 3 della Costituzione prevede l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge;
- un referendum popolare, rimasto disatteso, ha stabilito la responsabilità civile dei Magistrati, come lo è per qualsiasi altra professione di pubblica utilità (medici, avvocati, commercialisti, ecc.);
- troppi errori giudiziari ed ingiuste detenzioni, dovuti a dolo o colpa grave dei magistrati, causano enormi aggravi all’erario statale;
- troppi abusi ed omissioni dovuti a dolo o colpa grave dei magistrati restano impuniti penalmente;
- troppa impunità ed immunità ricopre la funzione giudiziaria, tanto che la magistratura è diventato un potere autoreferenziale, restio ad adottare provvedimenti punitivi nei confronti dei suoi compartecipanti, quant’anche solo disciplinari;
- è abbondantemente superato il periodo buio della nostra democrazia, minato dal sovversivismo mafioso o politico, per giustificare l’anomala guarentigia di cui godono i magistrati, sicuramente eccessiva e squilibrata rispetto agli altri poteri dello Stato.
Tanto premesso, si chiede alla S.V. di manifestare, nei termini e modi propri, la volontà di partecipazione alle future iniziative del sodalizio riformatore, per approntare delle proposte legislative, atte a colmare la lacuna normativa.
Dr Antonio Giangrande
Presidente Associazione contro tutte le mafie
Associazione di Promozione Sociale (Onlus)
presidente@associazionecontrotuttelemafie.org
Storia di un Sott.le dei Carabinieri mobbizzato:
“Orrore giudiziario” di Francesco Di Fiore
Ho deciso di dare questo titolo all’articolo perché non riesco a distanza di anni a trovarne altri.
Sentendo il dovere d’informare i miei tanti amici e colleghi sparsi per l’Italia riporto l’articolo del quotidiano “IL PICCOLO” cronaca di Monfalcone del 27 novembre 2007 che magistralmente ha sintetizzato la soppressione dei diritti dell’uomo di cui sono stato vittima da parte di una gerarchica “sclerotizzata”, come definita da alcuni parlamentari locali.
Quello che mi è successo è l’epilogo di una guerra, ancora non conclusa per quei poteri occulti che ancora indossano la divisa, risultando emblematico cosa possa accadere ad un soggetto che non si piega e non si spezza agli abusi dei superiori, portandoli al compimento di un misfatto che peserà sulle loro coscienze e di quelle dei loro familiari.
E’ d’obbligo, per quanti non mi conoscano alcuni brevi cenni autobiografici. Arruolato nell’Arma dei Carabinieri il 2 luglio 1980, dopo vari anni di gavetta presso comandi del Friuli Venezia Giulia, accetto di frequentare un corso antidroga. Dopo di che vengo trasferito al reparto operativo antidroga di Milano di Via Moscova, da me considerato l’università dell’anticrimine. Bagaglio professionale intenso e proficuo che mi tornerà utile negli anni.
Alla fine del ’97 condivido gli ideali del M.llo Pallotta e di UNARMA. Iniziano per me le prime avvisaglie dei superiori, fino al novembre 2004, allorquando vengo riformato e posto in congedo illimitato dall’Arma dei Carabinieri. Provvedimento che im
pugno e che al momento tralascio di narrarne il calvario. Sette anni di battaglie, vissuti molto male ma con grande dignità e consapevolezza di esistere. Persino i delinquenti che, per loro sfortuna hanno incrociato la mia strada professionale, hanno manifestato la loro solidarietà. Riservandomi, se mi sarà data la possibilità dagli editori, di raccontarvi tutti i procedimenti penali (circa 50) e disciplinari (non ricordo sic!) di cui sono stato fatto oggetto da superiori sui quali stendo un velo pietoso. Cari lettori è giunto il momento di riportare alla vostra attenzione l’articolo del quotidiano locale, sperando di provocare un dibattito costruttivo su quello che può definirsi “orrore giudiziario”.
Questo articolo, con tutti i limiti del caso, si propone, con una piccola ma ambiziosa iniziativa, di far capire al lettore cosa è realmente accaduto in questi anni di battaglie di rivendicazione sindacali a me e a quanti hanno sofferto le angherie e le vessazioni di cui sono stati fatti oggetto da parte di una gerarchica sclerotizzata. Solo allora verranno meno tanti interrogativi. E’ ai tanti carabinieri di ogni ordine e grado che giornalmente combattono per la difesa dei diritti dei cittadini – carabinieri, che dedico questo articolo.
IL PICCOLO di Trieste del 27 Novembre 2007
“Venne arrestato per non avere consegnato l’arma nel periodo di aspettativa ottenuto perché consigliere comunale. ASSOLTO L’EX CARABINIERE DI FIORE: POTEVA TENERE LA PISTOLA. L’ex carabiniere di origini palermitane residente nel monfalconese, Francesco DI FIORE, 45 anni, ora in quiescenza, è stato assolto in merito al reato di appropriazione indebita di un’arma, che aveva in dotazione in qualità di sottufficiale posto in aspettativa per mandato elettorale, quale Consigliere al Comune di Monfalcone nel gruppo dei DS. Il fatto non costituisce reato. Di Fiore è stato altresì assolto in merito al reato di disobbedienza, perché il fatto non sussiste. E’ questa la sentenza pronunciata il 23 febbraio 2006 dalla Corte Militare di Appello, sezione distaccata di Verona. IN altre parole, l’ex sottufficiale è stato a tutti gli effetti assolto dalle accuse che, il 4 dicembre 2003, culminarono nell’arresto, seguito alla perquisizione domiciliare disposta dalla Procura militare della Repubblica presso il Tribunale militare di Padova. La vicenda era scaturita il primo dicembre 2003, quando a Di Fiore fu notificato il provvedimento ministeriale di concessione di aspettativa per mandato elettorale, in qualità di Consigliere Comunale di Monfalcone. Il provvedimento richiamava altresì l’obbligo dei superiori del sottufficiale al ritiro dell’arma in dotazione. Arma che, come ha contestato il legale difensore di DI FIORE, l’avvocato Piergiorgio Bertoli del Foro di Udine, era stata pure consegnata, ma che, allora, non fu ritirata. Di Fiore, pertanto, ha spiegato il legale difensore, “nell’impossibilità di consegnare l’arma formalmente, se la portò a casa, ponendola a disposizione dell’autorità superiore”. Arrivò, dunque, la perquisizione domiciliare, disposta dalla Procura Militare su richiesta del Comando Compagnia dell’Arma. ” Ma l’arresto – continua la difesa – fu eseguito di iniziativa da due sottotenenti dei carabinieri”.
Per questa vicenda, Di Fiore affrontò due giorni di arresti domiciliari, liberato il 6 dicembre del 2003. Il tutto non senza subire pesanti conseguenze sotto il profilo umano , psicologico, familiare, sociale ed economico, come ha evidenziato lo stesso difensore. Fu una vicenda che suscitò clamore, anche a livello nazionale.
Con questa sentenza, dunque, viene di fatto sancita l’illegittimità dell’arresto eseguito nei confronti dell’ex sottufficiale. Questo dopo che già la Procura generale Militare della Repubblica presso la Corte di Cassazione, il 4 febbraio 2004, nel rinviare gli atti al Tribunale Militare di Padova, aveva ravvisato il fatto che . Secondo la Cassazione, infatti, . Insomma, l’aspettativa, soprattutto quella per motivi elettorali, non comporta alcuna perdita di status. Il tribunale militare aveva inoltre ritenuto irrilevante l’affermata “pericolosità” dell’ex carabiniere, considerandola altresì “forse illegittimamente utilizzata dal Collegio“. In quel contesto, la Cassazione evidenziava così che il Tribunale Militare di Padova . Nonostante la positiva requisitoria del Procuratore generale Militare della Corte di Cassazione, fa notare il legale, Di Fiore era stato Condannato dal Tribunale Militare di Padova ad un anno di reclusione militare ed al pagamento delle spese processuali. E il Procuratore generale della Corte Militare di Appello di Verona, il 23 febbraio 2006, ha sancito la piena assoluzione. . A questo punto, Di Fiore ha inteso rivalersi, procedendo con la presentazione di una denuncia, nell’ottobre scorso, in ordine ai reati di calunnia, abuso d’ufficio e lesioni personali gravissime””.
Cari lettori, a seguito di presentazione di opposizione al decreto di archiviazione formulato dal p.m. della Procura della Repubblica di Gorizia, i due solerti tenenti sono stati invitati in camera di Consiglio dal GIP Goriziano. Spero soltanto che si rompano definitivamente certi equilibri esistenti tra alcuni magistrati e l’arma dei carabinieri, esistenti in occasione di denunce contro ufficiali. Una delle tante battaglie che farò anche a livello politico sarà il recupero di tutte le forze dell’ordine che espletano attività di polizia giudiziaria all’interno delle procure sparse in Italia e parallelamente informatori ed intortatori di ufficiali e magistrati.
Alla prossima puntata.
Rag. Francesco DI FIORE
Sott/le nell’Arma dei CC in quiescenza
I SENZACASA SENZAVOTO di M.G. Fasoli
Signor Direttore,
fra alcune settimane gli Italiani maggiorenni, che non abbiano commesso reati così gravi da essere esclusi dal diritto di voto e che non siano in coma, potranno celebrare la democrazia esprimendo il loro voto in una cabina elettorale. Lo potranno fare, giustamente, persino quelli che, nati e vissuti all’estero, conoscono il paese solo per sentito dire. Ma c’è qualcuno che non potrà votare, non ostante la Costituzione e varie leggi dispongano il contrario. Sono le persone senza casa a cui i comuni, con vari pretesti, rifiutano di “concedere” la residenza, forse per non accollarsi altri “poveri”. Nel nostro paese senza la residenza quasi non si hanno diritti. Non si può ottenere un medico di base. Non si possono ottenere una serie di prestazioni di competenza dei comuni. Soprattutto non si può votare. Gli Italiani senza un alloggio, in realtà, hanno diritto ad essere iscritti nei registri anagrafici del comune sul cui territorio effettivamente viv
ono. Ciò in base al DPR 30-5-1989 n. 223, articolo 7, che rimanda all’art 2 della legge 24-12 1954 n 1228 che stabilisce testualmente: “La persona senza fissa dimora si considera residente nel comune dove ha il domicilio e, in mancanza di questo, nel comune di nascita”. Per domicilio non si intende una casa, ma il luogo dove abitualmente si sta. Quindi chi vive in un certo posto ha diritto ad essere iscritto all’anagrafe di quel posto mentre solo per i nomadi, come i lavoratori dei circhi, è prevista l’iscrizione nel comune di nascita. Ci sono sentenze che confermano tutto ciò. Per esempio la sentenza 10257 del 2-6-2003 del Tribunale di Milano che ha dato ragione a un cittadino che voleva iscriversi all’anagrafe di quel comune, stabilendovi il proprio domicilio come senza fissa dimora. Il giudice, in quel caso, affermò che “il rigetto della domanda di iscrizione deve nel caso in specie considerarsi non scusabile, vista la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento, la facile accertabilità degli stessi e la mancanza di discrezionalità nell’ambito del potere puramente certativo della P.A.” . Ma chi non ha una casa difficilmente ha i soldi per pagare un avvocato. Così l’abuso continua.
Per contrastarlo si è addirittura costituita l’associazione di volontariato “Avvocato di strada” www.avvocatodistrada.it/ che cerca di fornire assistenza legale a questi concittadini. Contro i comuni di ogni colore. Contro gli Uffici Anagrafe. Contro pletorici e inconcludenti “tavoli” sull’emarginazione che spuntano qua e là. Contro quelli che dovrebbero essere “pro”. Tutti gli schieramenti politici dichiarano di non voler cambiare la prima parte della Costituzione. Ecco l’articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” E l’art. 16: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche.” E l’art. 48: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.” Gli Italiani senza casa esercitano il diritto alla libera circolazione sul territorio nazionale scegliendo sotto quali ponti ripararsi meglio e dove trovare più briciole per sopravvivere. Hanno leggi e sentenze che garantiscono loro il diritto a risiedere nel comune dove effettivamente stanno, anche se non hanno tetto. E tutti gli altri cittadini hanno il diritto e il dovere di pretendere che la Costituzione e la legge vengano prese sul serio, almeno dalle istituzioni. Tutto ciò premesso chiedo al Sindaco in carica, ai candidati sindaci e a chiunque altro voglia rispondere: la Leonessa, che tante volte insorse, sacrificando anche le sue case alla libertà civica, cosa deve fare, subito, con le richieste di residenza dei senzacasa-senzavoto?
Spero che, tra un “tavolo” e l’altro, la risposta giusta non arrivi da un avvocato di strada.
Mariagrazia Fasoli (Brescia)
Apatia o…normale invidia? di Pasquale Tivalotti.
I libri «Onorevoli wanted» scritto da P. Gomez e M. Travaglio, “La Casta” di S.Rizzo e G.A.Stella conducono il lettore lungo una via che inevitabilmente porta ad accrescere il sentimento di distacco dal mondo politico. Dato che la vastità del fenomeno politically incorrect che ritroviamo fra i ranghi dei nostri rappresentanti va oltre ogni più pessimistica previsione e la manfrina continua imperterrita (Vito e Pomicino nell’antimafia), mi sono provocatoriamente domandato se essi non siano stati concepiti per collaudare l’inossidabilità del sistema. Se in poche parole quanto l’italiano medio è ancora in grado di sopportare e se mai avrà un limite, per cui sarà opportuno, a quel punto, dire “basta fin qui, oltre non si può”. Ciò che si trova in quelle pagine, e che non potrà mai essere contemplato dai codici di procedura penale, è l’assoluta arroganza dei personaggi. Il Paese è al loro servizio, ne dispongono come vogliono e non sembra ci sia il minimo senso di vergogna. Davanti alla giustizia, molti dei 945 protagonisti del Parlamento e del Senato sono tutti per uno e uno per tutti; neo moschettieri di un provvido accordo, concertato in modo che le poltrone vengono decise dalle segreterie dei partiti, a prescindere dall’ onestà che pare essere diventata una opzione anziché un pregio, se non addirittura una colpa. L’impunità cui fanno appello gli amministratori campani a fronte del disastro dei rifiuti ed il declinare sfacciatamente qualsiasi responsabilità fanno diventare le dimissioni di Mastella un fatto straordinario, quasi strappalacrime per la solidarietà piovutagli addosso dal suo mondo. Mi sono definitivamente convinto che ogni paese si becca la classe politica che si merita, e l’Italia non può certo essere l’eccezione. Così come son convinto che, chi più chi meno, se la gode finché dura. Provo a buttare giù una teoria che giustificherebbe la più volte lamentata “apatia italiana”, stabilito che andare a cercare in casa i politici nostrani, nelle mega-ville con piscina, di notte, con fiaccole, bastoni e cacciarli in malo modo non è una soluzione praticabile; ciò vale per la stragrande maggioranza di connazionali, più inclini alla pantofola che non alla ribellione violenta, Dio ne scampi. Io credo che l’italiano medio non prova disprezzo, mi si perdoni: bensì prova invidia. Invidia per chi, facendo il furbo più di come egli stesso non faccia, ottiene i vantaggi più grossi, più duraturi, consolidati e, diciamo garantiti dall’autorevolezza della poltrona. Naturalmente non tutti gli italiani sono così, come non lo sono tutti i politici. Pensiamo un attimo alla incredibile evasione fiscale, alle file che cerchiamo di saltare, ai parcheggi assurdi, perché no, a Napoli martoriata ed ora anche derisa, all’
arte di arrangiarsi, all’essere ” italiani” per capirci. Chi siede in Parlamento, e’ forse un norvegese, un extraterrestre o è semplicemente uno come tanti altri che ha avuto “successo” così come lo intendiamo noi italici in italica terra? Chi, leggendo del partito dei pensionati, io confesso di averlo pensato dopo averlo letto ne “La Casta”, non ha riflettuto di fare a sua volta una cosa simile? Per chi non lo sapesse parliamo di quel cittadino che ha creato il partito con sedicimila euro e ne ha ricavato tre milioni dallo Stato in rimborso spese: tutto legale e documentato, così come illustrato dalla penna di Rizzo e Stella. Ecco, ritorniamo su un leit motiv che ho illustrato in altri miei modesti interventi: la mutazione lenta ed inesorabile della vetusta coscienza ed onestà nella più moderna e facile abitudine ad accettare la furbizia a modello di vita. Badate bene, non sto qui a fare il fustigatore di costumi o fare il maestro di vita: sto solamente invitando a convincerci che il futuro del Paese è indissolubilmente legato alle regole. Quelle regole cui ci richiamano i nostri partners europei. Regole che forse non siamo più in grado di darci ma che dobbiamo abituarci a rispettare se vorremo contare. E avere rispetto.
Pasquale Tivalotti (Giurista)
“Il bene non fa notizia” di Silvia Conti (Avvocato)
“Ci chiediamo se il rilievo altissimo che viene dato a fatti di violenza non faccia acquisire a simili drammi, anche se questo non è l’obiettivo, una valenza esemplare che essi sicuramente non hanno”. Così, vari anni orsono, lo stesso ex Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, tornando a pronunciarsi sul problema dell’informazione in occasione della mostra ferrarese sui tesori degli Estensi, ritenne di mettere in guardia contro un modo “pericoloso” di fare cronaca, richiamando gli operatori dei mass media alle loro responsabilità.
La violenza che dilaga su TV e carta stampata fornisce una rappresentazione del mondo giovanile distorta e totalizzante, e questo è fatto di estrema pericolosità. Non solo perché nega l’esistenza di una realtà ben diversa fatta di studio, lavoro e impegno sociale, ma anche e soprattutto perché potrebbe indurre tragici effetti di emulazione in soggetti deboli.
Per questo è di fondamentale importanza riportare in primo piano il “tema della proposta che la società deve indirizzare ai giovani e che i giovani devono pretendere dalla società” dando adeguato rilievo a quella normalità che non fa notizia, ma che merita attenzione e segnalazione.
Ciampi si dichiarava preoccupato e turbato soprattutto in riferimento agli effetti di un informazione esasperata e violenta indirizzata ai giovani, ma il problema è di più ampia portata e coinvolge, a prescindere dall’età, tutti i fruitori di giornali e programmi TV che abbiano sensibilità alle vicende umane. Sensibilità che è già sorprendente alberghi ancora nelle coscienze nonostante, nel corso di questi ultimi anni, sangue e lacrime siano state l’ingrediente fondamentale di ogni notizia di grande coinvolgimento pubblico.
Oltre il temuto effetto di emulazione bisogna infatti considerare un più subdolo effetto prodotto dalla continua rappresentazione nei minimi particolari di fatti atroci, ossia la svalutazione progressiva dell’evento morte, come fatto doloroso e obbrobrioso per le circostanze in cui si verifica.
Il continuo ricostruire, interpretare, romanzare fatti che di per sé colpiscono l’immaginario collettivo conduce, quasi inevitabilmente, ad una istintiva equiparazione tra realtà e finzione cinematografica, produce una sorta di saturazione da violenza, per cui superato lo shock iniziale nulla o poco rimane, se non una sensazione di confusione e dubbio circa l’aver assistito effettivamente a qualcosa di reale.
Indugiare sul particolare truculento, come accade nei migliori thriller, significa suscitare emozioni forti negli spettatori, significa ottenere un coinvolgimento emotivo che è tanto fulmineo nel sorgere quanto nel declinare: già, perché la mente umana finisce per rifiutare e rimuovere una situazione che produce un suo continuo avvilimento, ed in ogni caso la tollera solo per un tempo ridotto.
Lo sconcerto provocato dalla visione non resiste all’arrivo della luce, e rimane in sala mentre gli spettatori se ne vanno, felici di poter dimenticare.
Se la guerra del Golfo trasmessa in diretta è stata la prima ad essere avvertita e vissuta quasi come un videogioco, i fatti dell’11 settembre e del Teatro moscovita hanno confermato quanto vicina possa essere la rappresentazione televisiva di una tragica realtà ad uno spettacolo holiwoodiano. E al processo di “cartoonizzazione” non si sottrae a maggior ragione la cronaca quotidiana.
È chiaro che il problema della violenza nella nostra società non può certo ritenersi causato dall’informazione quotidiana, ma è pur vero che non è possibile lavarsi le mani di ogni responsabilità nascondendosi dietro il diritto di cronaca e paventando il ritorno di censure napoleoniche.
Innanzitutto perché non si vede come il diritto di cronaca, intangibile libertà democratica, possa essere leso dal mancato racconto particolareggiato del numero di coltellate inferte alla vittima o della mancata messa in onda di tutte le macchie di sangue presenti sulla scena del crimine. Non si capisce infatti che cosa questi particolari possano aggiungere alla narrazione di avvenimenti la cui tragicità meglio raggiungerebbe lo spettatore in quanto resa nella maniera più semplice possibile: il non fermare l’attenzione sul singolo elemento consentirebbe infatti all’opinione pubblica di elaborare la brutalità del fatto nel suo complesso, e non soltanto in alcune sue parti.
Né a ben guardare esistono, almeno sul punto, problemi di censura, non trattandosi di tagli da operarsi per volontà di soggetti estranei ed esterni al mondo dell’informazione sui contenuti, ma di una diversa modalità di fare informazione e quindi di una questione di forma, che ha però un forte impatto sulla successiva percezione della sostanza.
Al di là di inutili polemiche o di facili moralismi sarebbe necessario avviare u
na seria riflessione sul ruolo dell’informazione oggi, sul suo essere servizio per la collettività o ulteriore strumento di business, e così domandarsi se il mondo dell’informazione debba, per assolvere il suo compito, soggiacere alla dura legge dell’audience, e dunque alla logica dello stupire per ottenere ascolti, o se invece non sia meglio lasciare ad altri tali preoccupazioni e reinventare una comunicazione più efficace proprio perché maggiormente rispettosa dell’uomo.
Silvia Conti (Avvocato)
LA BEFFA DEL FONDO PENSIONI COMIT di Luigi Gulizia.
Origini del Fondo.
Il Fondo di previdenza per il Personale della Banca Commerciale Italiana (d’ora in poi: Fondo Pensioni Comit), nasce per impulso unilaterale della Banca con Regio Decreto datato 11 Agosto 1921, n.1201, a seguito del quale viene eretto in Ente morale con approvazione dello Statuto.
Esso, quindi, non trae le sue origini dalla contrattazione collettiva e trova la sua fonte istitutiva esclusivamente in una sola parte: la Banca Commerciale Italiana.
Con Decreto del Presidente della Repubblica 9 Febbraio 1956, n.279, esso assunse la denominazione di “Fondo pensioni per il Personale della Banca Commerciale Italiana” con approvazione di nuovo Statuto.
Con successivo Decreto del Presidente della Repubblica pubblicato nella G.U. del 5 Novembre 1971 col n. 886 si approvarono alcune modifiche dello Statuto su domande del Presidente del Fondo del 25 ottobre e 15 novembre 1968 e 30 gennaio 1970.
Partecipazione al Fondo dei Dipendenti Comit.
Lo Statuto modificato del 1971 prevedeva, in ordine alla partecipazione al Fondo, il contributo obbligatorio di tutti i Dipendenti Comit con alcune esclusioni.
Al TITOLO IV art. 17 di detto Statuto era, infatti, scritto che:
“La partecipazione al Fondo Pensioni, costituendo parte integrante del contratto di lavoro corrente tra la Banca e il suo Personale, è obbligatoria per tutti i suoi dipendenti con le sole eccezioni..”
In punto si osserva che:
– tale previsione normativa era già palesemente in contrasto specificatamente con l’art. 23 della vigente Costituzione della Repubblica Italiana in base al quale:
“Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.”
Di fatto, quindi, la obbligatoria partecipazione al Fondo Pensioni Comit inscindibile dal contratto di lavoro sottostante, costituiva violazione della Costituzione attuata mediante abuso di posizione dominante, qual’era quella tipica della Banca, nei confronti del soggetto più debole come è colui che è alla ricerca di un contratto di lavoro subordinato per garantirsi i propri mezzi di sussistenza.
Da quanto precede discende la radicale nullità della partecipazione obbligatoria al Fondo per violazione di norme imperative e, quindi, per causa illecita. Tale nullità, peraltro imprescrittibile, non fu mai eccepita da alcuna parte.
Destinazione dei contributi al Fondo.
Sempre nello Statuto del 1971, allo stesso TITOLO IV all’art.18 si prevedeva che:
“I contributi da versare al FONDO PENSIONI sono dovuti dai Partecipanti in attività di servizio nella misura minima del 7,75% dell’ammontare delle retribuzioni soggette a contribuzione per l’assicurazione obbligatoria di invalidità, vecchiaia e superstiti. …………………………………
Detti contributi dovuti dai Partecipanti vengono trattenuti dalla Banca all’atto del pagamento degli emolumenti e versati al Fondo Pensioni che li accredita in un Conto Speciale intestato a ogni singolo Partecipante.”
Nelle NOTE datate Novembre 1971 e inserite nel volumetto del summenzionato Statuto si legge anche, in ordine al REGIME CONTRIBUTIVO, in seconda pagina di copertina dal rigo 7 che:
“…….gli iscritti al Fondo aziendale……..fruiscono così, oltre che della pensione obbligatoria,del trattamento a carico del Fondo commisurato all’intera contribuzione versata al medesimo.”
Dalle modifiche statutarie del 1976 e del 1991 all’Accordo del 16 Dicembre 1999.
Il regime contributivo previsto era evidentemente un regime di CAPITALIZZAZIONE e così, infatti, veniva descritto in un opuscolo informativo Comit a pag. 8.
Va notato, peraltro, che trattandosi di previdenza complementare privata il regime era per sua propria natura di carattere privatistico e, conseguentemente, la CAPITALIZZAZIONE non poteva che essere INDIVIDUALE come, d’altro canto, discende dalla stessa lettera della descrizione di esso appena riportata.
Nel 1976,per motivi ignoti,tale sistema venne modificato con un regime di PARZIALE RIPARTIZIONE attraverso il quale una quota del 25% dei contributi veniva utilizzata per la erogazione diretta ai già pensionati. Nel 1991, ancora per motivi ignoti, anche questo regime venne modificato con un sistema di CAPITALIZZAZIONE COLLETTIVA A PREMIO MEDIO
GENERALE in cui, secondo quanto si legge in un documento difensivo della Banca:
“….l’equilibrio tecnico-attuariale era calcolato, considerandosi come posta attiva di bilancio il valore attuale dei contributi degli iscritti futuri. I sistemi di questo tipo si basano sul presupposto che il numero degli iscritti rimanga costante nel tempo…..”
In buona sostanza si era passati dal regime privatistico vigente fino al 1975 a forme sempre più esasperate di modelli pubblicistici quale il regime INPS che non potevano evidentemente trovare spazio in forme di previdenza complementare tant’è che, nel disperato tentativo di trovarvi una legittimazione purchessia, si è costretti a sostenere, in modo fantascientifico, che l’equilibrio tecnico-attuariale si basava sul presupposto della costanza del numero degli iscritti.
Tutto ciò nel momento in cui il numero dei partecipanti già era in costante discesa a seguito delle politiche di blocco delle assunzioni prima e di esodo poi che cominciavano a costituire la generale ristrutturazione del settore creditizio!!!!
Il collasso del Fondo, a seguito delle sciagurate riforme del 1976 e del 1991, era quindi perfettamente prevedibile e inscritto in tali logiche gestionali facenti capo a un Consiglio di Amministrazione del Fondo composto da rappresentanti sindacali e da membri della Banca con un Presidente espresso dalla Banca stessa.
Né va dimenticato che a quelle riforme diedero parere favorevole, nel 1978 e nel 1992, il Consiglio di Stato e il Ministero del Lavoro!!!
In tale quadro si inserì il dlgs. 21 aprile 1993, n.124.
Esso fu evidentemente interpretato da parte della Banca come la ciambella di salvataggio che le consentiva di uscire da una situazione sempre più sgradita di cui era giunto il momento di liberarsi facendo ricadere il carico finanziario sulle spalle di chi aveva costretto a lasciarle quattrini e libertà di manovra in barba alle statuizioni del dettato costituzionale. Anzi, tanta era la libertà di manovra di cui si godeva nel Fondo che, come è notorio tra il Personale Comit, molti atti vi furono a carattere patrimoniale non in linea con le sue finalità e tali da aggravarne ulteriormente la già precaria situazione finanziaria.
Poiché il dlgs prevedeva l’istituzione di forme di previdenza complementare a CONTRIBUZIONE DEFINITA E A CAPITALIZZAZIONE INDIVIDUALE, vale a dire per ironia della sorte il regime vigente nel Fondo Comit fino al 1975, se ne volle furbescamente dedurre che a causa del dlgs stesso quell’equilibrio tecnico-attuariale basato sul presupposto della costanza del numero degli iscritti non era più possibile e che, pertanto, in obbedienza alla legge occorre va trovare un rimedio allo squilibrio la cui origine pretestuosa fu attribuita al dlgs!!!!!
In altre parole, quello che era uno squilibrio determinato dalle riforme del 1976 e del 1991, fu attribuito a una normativa ben posteriore che, se mai, suonava proprio come implicito rigetto di quelle riforme approvate, è doveroso ricordarlo, con il beneplacito del Consiglio di Stato e del Ministero del Lavoro.
Nella convinzione di aver trovato la scappatoia giuridica per sottrarsi alle proprie pesanti responsabilità nei confronti della platea degli sfortunati Partecipanti al Fondo, nel Dicembre del 1999, con atto unilaterale, la Banca notificò alle Organizzazioni Sindacali il proprio recesso da tutti i precedenti accordi in materia giungendo, per questa via, alla stipulazione di un nuovo Accordo in data 16 Dicembre 1999.
Poiché il buco nei conti pensionistici annunciato fino a quel momento ascendeva all’astronomica cifra di 800 Miliardi delle vecchie lire, la Banca accettò, bontà sua, di erogare un contributo prima cifrato in 50 Miliardi successivamente portato a 100 miliardi diluito in un arco di tempo decennale. In percentuale si trattava del 12,5% sull’entità dell’ammanco!!!!!!!!
L’Accordo prevedeva, come ovvio, drastici e intollerabili tagli, altrimenti denominati con notevole fantasia “zainetti”, a carico dei Partecipanti al Fondo secondo determinati parametri e variamente attribuiti in base a fasce/classi di anzianità.
Una puntuale tabella di tali tagli è rinvenibile nel Comunicato di SINDIRIGENTI CREDITO del 23 Dicembre 1999. In linea generale essi arrivano a superare anche il 50%.
L’Accordo era, in realtà, come sempre e in dipendenza della stessa natura coercitiva originaria della partecipazione al Fondo, un semplice “diktat”. Si poteva solo accettarlo o rifiutarlo con conseguenze economiche ulteriormente peggiorative.
Azione esercitata in Milano.
Contro gli ingenti danni arrecati dal Fondo Pensioni Comit è partita, a fine 2004, la causa promossa da 17 tra ex dipendenti ed altri tuttora in servizio nella attuale Banca Intesa che, come noto, ha assorbito la preesistente Banca Commerciale Italiana.
L’azione mira al riconoscimento e alla tutela dei diritti lesi attraverso la obbligatoria partecipazione al Fondo incorporata inscindibilmente nel contratto di lavoro da ciascuno stipulato con la ex Comit e che, pertanto, chiama direttamente in causa la responsabilità contrattuale della stessa.
Durante il 2005 si sono svolte udienze di trattazione presso il Tribunale di Milano Sezione Lavoro. Nel Dicembre dello stesso anno, a seguito della messa in vendita a mezzo Asta di cespiti immobiliari di pertinenza del Fondo Pensioni, è stata inoltrata istanza di sequestro conservativo la pronuncia sulla quale era stata indicata per il 27 Dicembre e che, invece, ad oggi non ha visto alcun seguito pur con il carattere di urgenza rivestito da detta istanza.
Giurisprudenza in materia di previdenza complementare.
e=”font-size: 11pt; font-family: Verdana”>Si citano alcune sentenze della Suprema Corte di Cassazione nella materia di che trattasi:
– Cassazione 21 gennaio 1998, n.524 : “…..quando il regime previdenziale aziendale ha funzione integrativa del regime pubblico, i contributi devono essere considerati come retribuzione differita in funzione previdenziale: una parte della retribuzione viene accantonata durante il rapporto di lavoro per essere erogata al termine di esso e costituisce in sostanza un trattamento di fine rapporto.”
Da notare che tale sentenza è anteriore di ben 2 anni all’Accordo 16 Dicembre 1999.
– Cassazione 2 novembre 2001, n.13558. – I contributi versati dall’Azienda a favore del lavoratore per alimentare un fondo integrativo di previdenza fanno parte della retribuzione – Vanno calcolati ai fini dell’indennità di anzianità e del t.f.r.
– Cassazione 14 ottobre 2002, n.14591 – I contributi versati dall’azienda a un fondo di previdenza integrativa fanno parte della retribuzione – Devono perciò essere inclusi nel calcolo del t.f.r.
– Cassazione 12 novembre 2002, n.15863 – I trattamenti previdenziali integrativi non possono essere riformati con accordi sindacali senza il consenso dei singoli lavoratori beneficiari. – Il recesso unilaterale da parte dell’azienda non è consentito.
Su quest’ultimo punto va notato il comportamento esattamente contrario della ex Comit.
Conclusioni.
Sulla vicenda del Fondo Pensioni Comit è stato calato un silenzio pressocchè totale che provoca ragionevoli sospetti di molteplici interessi convergenti nel momento in cui la ricca torta della previdenza integrativa alimenta i voraci appetiti di Banche e Assicurazioni.
Il Fondo Comit, nella sua manifesta e arrogante scandalosità finanziaria, potrebbe suonare, se correttamente reso noto alla pubblica opinione, come un ulteriore campanello d’allarme non gradito assieme ai vari scandali Parmalat, Cirio, Argentina, Banca Popolare Italiana ecc. ecc. gestiti dalle abili mani dei tanti “furbetti del quartierino”.
Ecco perché, invece, è importante che se ne parli affinché non diventino puro e semplice terreno di conquista anche i cosiddetti trattamenti pensionistici integrativi. A meno che l’integrazione non si intenda a favore dei citati “furbetti del quartierino”!!!!
Dott. Luigi Gulizia (Giurista)
Nota.
Il sottoscritto redattore del presente documento informativo è, insieme al Sig. Augusto Sala, partecipante in proprio e per procura speciale del Gruppo dei 17 ricorrenti nella causa promossa avanti il Tribunale di Milano Sezione Lavoro contro i danni rivenienti dalla coercitoria partecipazione al Fondo Pensioni Comit.
Insieme al Gruppo di Milano è stata esercitata medesima azione in La Spezia da altro e più numeroso Gruppo di colleghi della ex Comit con gli stessi motivi di doglianza avverso il Fondo Pensioni.
Va inoltre rilevato che in tutta Italia sono pendenti cause intentate contro i danni dipendenti dalla partecipazione al Fondo.
A suo tempo è stata anche inoltrata una interrogazione parlamentare di cui non si sono più avute notizie e che è da considerarsi, conseguentemente, “dispersa”.
Di tutte queste iniziative che pure indicano una rivolta morale e materiale contro quella che è appropriatamente definibile come “LA BEFFA DEL FONDO COMIT” nessun organo di stampa appare essersi interessato né tanto né poco nonostante una posta in gioco che, oltre ai quattrini spariti in abbondanza, è indice del nessun conto in cui vengono tenuti gli interessi di lavoratori e risparmiatori. Nelle parole dell’ex Governatore di Bankitalia, Fazio, che riteneva affare di qualche vecchietta lo scandalo Parmalat sta scritta l’ispirazione reale di una intiera classe di arrogante potere.
DISTRUGGENDO L’AUTORITA’ DELLA LEGGE
di Ralph Nader
Ralph Nader è un avvocato di quelli che tutti sognerebbero avere. Attivista politico statunitense di origini libanesi, noto per il suo impegno contro gli abusi delle corporations nel campo ambientale e dei diritti dei consumatori, è riusciuto persino a piegare la General Motors. E’ anche un forte critico della politica estera statunitense degli ultimi decenni, che egli considera dominata dagli interessi delle corporations ed in generale contraria ai valori fondamentali della democrazia e dei diritti umani. Nel 1965, sostenne che le automobili prodotte dal colosso statunitense General Motors non erano totalmente sicure. L’azienda tentò di screditare Nader e lo pedinò con investigatori privati: quando se ne accorse, Nader denunciò la GM e vinse la causa, costringendo l’azienda dapprima a pagargli 284.000 dollari per violazione della privacy e successivamente ad aumentare i dispositivi di sicurezza della auto. Di tendenze progressiste, Nader presiedette e sostenne numerosi aziende no-profit e durante gli anni settanta ed ottanta fu un importante attivista politico in favore dell’ambiente, degli animali, degli immigrati, dei nativi americani e dei diritti delle coppie omosessuali. Un vero Robin Hood insomma di cui ci occuperemo sicuramente ancora in seguito.
Ogni studente di legge impara subito l’ideale nazionale che il nostro paese è governato dalla legge, non è il regno degli uomini. Oggi, il regno della legge è sotto attacco. Queste attività sono divenute un grande commercio e, non a sorpresa, hanno coinvolto il gr
ande affare.
Il 25 ottobre, Condoleeza Rice ha riconosciuto ufficialmente davanti al Comitato di Controllo della Camera che, eccezionalmente, non c’era una legge che regolava la cattiva condotta della Blackwater e la sua polizia privata in Iraq. Tutti i crimini violenti che sono stati commessi da Blackwater e dagli altri appaltatori incaricati dalla Difesa e dal Dipartimento di Stato di effettuare il servizio di vigilanza ed altri incarichi, sono caduti nel buco fra la legge irachena, da cui sono stati esentati dall’occupazione militare e le leggi degli Stati Uniti. Visto che il governo USA è dominato dagli uomini senza legge della Casa Bianca che hanno violato tante leggi e trattati, Bush e Cheney certo non c’era interesse nella scelta di enormi appaltatori corporativi per operare nella giurisdizione irachena sotto sia il sistema militare di giustizia che il diritto penale USA.
Il potere presidenziale si è accumulato nel corso degli anni fino a livelli che avrebbero allarmato i padri fondatori la cui struttura costituzionale non prevedeva un simile potere unilaterale e grezzo al vertice del potere Esecutivo. Di conseguenza, essi stabilirono soltanto la sanzione dell’incriminazione. Non dettero ai cittadini la possibilità legale di ricorrere al tribunale e sostenere la responsabilità Presidenziale, o per impedire agli altri due poteri l’abbandono della loro esplicita autorità costituzionale (come il potere di fare la guerra) al potere Esecutivo. Col tempo le corti federali hanno rifiutato di giudicare i casi che ritengono “conflitti politici” fra il Legislativo e l’Esecutivo o, in generale, la maggioranza delle questioni di politica estera.
Essendo al di là dell’estensione della legge, Bush e Cheney usano la legge in maniera da infliggere l’ingiustizia alla gente innocente. La politicizzazione degli uffici degli avvocati degli USA fatta dal Ministero della Giustizia, dimostrata dalle udienze al Congresso, è una conseguenza di tale eccesso presidenziale. La costrizione legale e politica, usando leggi come la cosiddetta “PATRIOT Act”, è un altro esempio che ha intrappolato migliaia di persone innocenti con arresti e carcerazioni senza un’accusa o una rappresentanza legale adeguata. Oppure l’uso del regime di Bush dell’eccezione coercitiva applicata agli imputati che non sono difesi da avvocati esperti ed importanti. Libri e articoli nella rivista giuridica sono stati scritti su tali casi in cui il governo viola le leggi. Sono ricchi di esempi ma senza rimedi pratici da attuare.
Le Corporazioni e i loro grandi studi legali corporativi hanno molti modi di eludere le leggi. Primo, si assicurano che quando il Congresso legifera, le leggi promuovano gli interessi corporativi. Per esempio, numerose leggi sulla sicurezza del consumatore non hanno sanzioni penali per le violazioni, solo multe simboliche. Spesso le agenzie di controllo hanno le facoltà di convocare in giudizio molto deboli o l’autorità di regolare i casi di sicurezza urgenti ed obbligatori senza permettere ritardi corporativi rinviati di anni o persino decenni. Se le leggi si rivelano fastidiose, le corporazioni si assicurano che i preventivi di applicazione siano veramente molto piccoli, con soltanto pochi agenti federali in giro.
Il numero totale degli avvocati del Dipartimento di Giustizia che perseguono l’ondata di crimine corporativo del decennio passato, verso piccoli investitori, pensionati e operai per trilioni di dollari di perdite e di danni a salute e sicurezza di molti pazienti e consumatori, è più piccolo di uno dei 5 grandi studi legali corporativi.
Fuori nel mercato, nell’ambiente e nel posto di lavoro, le corporazioni hanno molti attrezzi forgiati dal loro potere sfrenato per bloccare la gente danneggiata che ricorrerebbe al tribunale o vorrebbe convincere le agenzie o il legislatore a difendere la gente comune.
Le aziende possono logorare o impedire ai querelanti l’ottenimento della giustizia con mozioni costose ed altre tattiche ritardanti. Quando la gente arriva alla corte ed ottiene una certa giustizia, le aziende stimolano il legislatore a limitare l’accesso al tribunale. Ciò è chiamato in modo grottesco “tort reform” poiché toglie i diritti agli individui danneggiati ma non i diritti delle società ad avere il loro giorno in tribunale. Gli importi cospicui dei finanziamenti politici ungono la strada per le società nei parlamenti dei cinquanta stati e a Capitol Hill.
Come se quel potere di approvare le loro proprie leggi non fosse abbastanza, le grandi corporazione sono anche un legislatore privato. Avete mai visto quei modelli standard di accordo ben – stampati che vi chiedono di firmare sulla linea punteggiata per ottenere l’assicurazione, l’affitto, un credito, i servizi bancari, cure ospedaliere, o un lavoro. Quelle pagine ben stampate sono corporazioni che vi regolano! Non potete cancellare niente.
Non potete sbarrare la strada a un competitore – da Geico a State Farm, o da Citibank alla Banca di America, perché non c’è concorrenza sopra questi contratti ben – stampati, con la loro linea della firma punteggiata. A meno che competano su quanto velocemente vi richiedono di dargli i vostri diritti a ricorrere al tribunale o ad obiettare al loro cambiamento dei termini dell’accordo unilaterale, o su come cambiare i termini del vostro solito contratto di volo sulle miglia già accumulate.
Un viva per le scuole di legge che tengono corsi sul regno degli uomini sopra quello della norma.
Un viva per il tempo in cui ci saranno molti studi legale che perseguono il pubblico interesse e che lavorano proprio contro i grandi centri di potere concentrato che negano gli usi aperti ed imparziali delle leggi che perseguono la giustizia e la responsabilità.
Traduzione di Franco Allegri
http://digilander.libero.it/amici.futuroieri
LE RAGIONI DELLE CONTESTAZIONI DEI G8.
di Irene Schlacht
(In calce l’intervista agli organizzatori tedeschi).
Lo scorso giugno, ad Heiligendamm, nel nord-est della Germania, si sono incontrati i rappresentanti delle 8 potenze mondiali per discutere e decidere, more solito, “a porte chiuse” sulle maggiori problematiche che affliggono l’umanità (clima, guerre e povertà in Africa), oltre ai diritti di copyright.
In totale è stato concordato uno stanziamento di 60 miliardi di dollari americani in tre anni, per sfamare i popoli africani e fornire farmaci ai malati di AIDS.
Un passo indietro rispetto al G8 del 2005, svoltosi a Gleneagles (Scozia), dove era stata concordata la somma di 50.000 euro all’anno, poi comunque mai erogata.
Per il clima è stato concordato la riduzione delle emissioni di idrogeno del 50 percento, senza però stabilire in che anno e rispetto a quale parametro di riferimento, lasciando pertanto la dichiarazione alquanto ambigua e poco credibile.
Sul fronte dei conflitti bellici nulla si è invece detto delle guerre in Iraq e in Afghanistan, né della drammatica emergenza umanitaria in Darfur…
Al di là delle mere enunciazioni di principio e dichiarazioni propagandistiche nessun accordo è stato siglato dai rappresentanti del G8, le cui decisioni sono state prese, senza alcun obbligo e impegno preciso.
Il G8 è infatti strutturato come un incontro non ufficiale, quasi privato, senza nessun valore legale. Non ci sono forme di consultazione della popolazione mondiale, riguardo alle decisioni da assumere e all’importanza degli argomenti trattati dai rappresentanti del club elitario dei Paesi più potenti che ogni anno si ritrovano in luoghi diversi.
La scelta che 8 capi di governo decidano le sorti dell’umanità a porte chiuse, escludendo l’umanità stessa dai processi decisionali, è quindi all’origine delle tensioni sociali e contestazioni che si sono verificate, anche lo scorso giugno ad Heiligendamm, nel nord-est della Germania, dove si sono radunati ben 80.000 giovani manifestanti, provenienti da ogni parte del mondo.
Il tentativo di bloccare pacificamente il G8 ha scatenato la solita repressione e scontri. Le forze di polizia, arrivate da tutta la Germania ammontavano a 16.000 unità, con il rapporto di un agente per ogni quattro manifestanti.
La capillare e meticolosa organizzazione dei manifestanti, si potrebbe dire alla tedesca, ha evitato che agli iniziali scontri di sabato vi siano stati seguiti violenti. Secondo molti la polizia sembrava quasi condividere gli ideali pacifisti della protesta, senza reazioni forti anche quando i manifestanti varcavano le zone di recinzione off limits.
Particolari forme di solidarietà sono state dimostrate anche dalla popolazione locale che durante l’occupazione delle strade ha portato viveri e coperte ai manifestanti.
Non si può che sperare che questa sensibilità possa arrivare anche agli 8 delle potenze mondiali, facendo si che il prossimo G8 sia un’occasione di dialogo e non di scontro con i manifestanti che sono i veri rappresentanti delle nazioni del mondo.
Irene Schlacht (giornalista)
INTERVISTA DAL CAMPO DI ROSTOCK
Con Carlo (pseudonimo) uno degli organizzatori tedeschi e Marco (pseudonimo) uno dei manifestanti, entrambi di Berlino.
Inviata: Quali sono le ragioni della protesta?
Carlo: Il G8 prende decisioni come un governo mondiale, senza averne alcun diritto poiché rappresenta solo il 13% della popolazione. Impone al mondo il modello economico neo-liberale, controllando l’economia globale; prende decisioni senza considerare il diritto di scelta del modello di sviluppo dei paesi poveri.
Inviata: Che cosa comporta la Politica di globalizzazione apportata dal G8?
Carlo: La politica del G8 è fondata sul capitalismo selvaggio, è finalizzata al benessere della classe alta e alle regole del marketing; sostiene le privatizzazioni, la riduzione del “social standard”, e anche un’economia fondamentalmente basata sul lucro di guerra e quindi guerrafondaia.
Inviata: Che cosa è accaduto di speciale nella mobilizzazione dei protestanti?
Carlo:Tutti i protestanti da diverse parti del mondo e con diverse idee politiche, si sono riuniti in questa occasione con lo stesso obiettivo: bloccare e isolare il G8.
Inviata: Ritieni che l’obiettivo sia stato raggiunto?
Marco: Decisamente si. Il movimento è stato veramente enorme. Nonostante le diverse impostazioni e “credi” politici, grande è stata la solidarietà fra i partecipanti che si sono organizzati in tre campi e hanno occupato per 3 gg, con sacchi a pelo e fuochi, tutte le strade che collegavano Heiligendamm, anche via mare.
L’unica via possibile è stata quella aerea, ciò ha costretto i rappresentanti ad arrivare in elicottero ed ha impedito l’accesso ai media e ai traduttori: i protestanti si sono sentiti quindi vittoriosi
Inviata: Qual è stato un avvenimento cruciale?
Marco: Sicuramente gli scontri di sabato. Mentre i pacifisti organizzavano un concerto ed un corteo assolutamente tranquillo, 2000 autonomi del Blocco Nero scatenavano la violenza. Si sono verificati attacchi alle forze dell’ordine e atti di vandalismo sulle vetrine della Sparkasse Bank e su negozi privati, un’auto è stata data alle fiamme. Le forze dell’ordine hanno reagito attaccando indistintamente anche la parte di protesta pacifista, che assisteva al concerto nel porto di Rostock, cercando di disperdere le persone con idranti, gas lacrimogeni, spray irritanti.
Inviata: Cosa ritieni importante in questo contesto.
Marco: La cosa per me più interessante è trovare un modo di continuare la protesta nella vita quotidiana. Vorrei sapere se l’energia della protesta è arrivata in Italia o è rimasta come un accadimento sconosciuto o solo un ricordo lontano del G8 di Gen
ova. Per noi è stato ed è un evento che cambierà la storia politica tedesca.
Inviata: Come hanno fatto ad organizzarsi così tante persone?
Carlo: Dopo l’esperienza di Genova, dove persone completamente pacifiste sono state brutalmente massacrate nella scuola DIAZ, abbiamo capito che queste cose sono fondamentali. L’organizzazione è iniziata un anno e mezzo fa; è stata capillare e anche creativa. Abbiamo cercato di tenere conto dei bisogni di tutti. Abbiamo, ad esempio predisposto un menù vegetariano (senza derivati animali), e tende comuni per chi non aveva da dormire. Ci siamo attrezzati e educati in caso di attacco della polizia per mesi, creando brochure esplicative, incontrandoci nei parchi e studiando metodi di difesa nonviolenta.
Dal secondo giorno, è stato possibile grazie all’atteggiamento della polizia trasformare la protesta in un incontro costruttivo e multiculturale dove persone di tutto il mondo hanno potuto scambiare le loro opinioni in un clima più da RAVE che da guerra. Un vero miracolo, ripensando ai fatti di Genova. Da notare che Heiligendamm era una cittadina dell’est quindi parte della ex DDR. Molti dei poliziotti che sono cresciuti sotto il regime comunista camminavano non di fianco ma in mezzo alla protesta accompagnati anche da colleghi della Germania ovest. Nella polizia in particolare gli “anticonflitto” (un gruppo speciale proveniente da Berlino) sono stati così amichevoli che quasi aspettavo che lanciassero caramelle.
Grazie ad un organizzazione capillare, si potrebbe dire alla tedesca, agli scontri di sabato non ci sono stati seguiti violenti, la polizia sembrava quasi sostenere i protestanti, lasciandoli anche varcare le zone di recinzione previste, senza forti reazioni, solidarietà è stata dimostrata anche dalla gente locale che durante l’occupazione delle strade ha portato viveri e coperte ai manifestanti.
Non si può che sperare che questa sensibilità possa arrivare anche agli 8 delle potenze mondiali. Aspettando il 2009 in Italia, sarebbe di buon auspicio una organizzazione e unità così proficue.
Ringrazio per la collaborazione Nicoletta e i ragazzi del campo di Rostok.
LA LEGGE E’ UGUALE PER TUTTI GLI ALTRI by Valternink
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