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L’ERA DELL’ARGENTO

sabato 02nd, Febbraio 2008 / 12:03 Written by

di Lavinia Grenwell

Era dell’argento secondo i Greci e i Romani, Treta Yuga, Era dei tre fuochi o dei riti per gli Indù. L’era in cui il Bisonte posto a ovest per trattenere le acque della distruzione, secondo i Sioux, si reggeva su tre zampe, avendone già persa una, così come il Toro Dharma (la legge divina) della tradizione Indù.

L’elemento maschile si ritira dalla dimensione del divino; nasce la separazione tra uomo e donna; nell’Era dell’Argento l’uomo rimarrà sempre l’eterno bambino perennemente accudito dalle sagge madri e sorelle, e in grado di ritrovare il divino solo in certi casi, solo tramite la guida di donne di sapere, nella figura di paredri, di cui si parlerà più avanti.

Questo ritirarsi dell’elemento maschile e allontanarsi dell’uomo, ma non ancora della donna, dall’elemento ispirante dell’era precedente, ovvero dal Divino, porta a una rottura della mela androgina primordiale, perfetta miscela di acqua e fuoco, notte giorno, e di conseguenza nasce una distinzione tra tali opposti, così come anche tra uomo e donna, tra gli individui umani (che appunto diventano individui, ovvero esseri internamente separati dalle forze dominanti universali di cui erano stati parte nell’Era dei primordi), e tra gli individui umani e la dimensione naturale, animale e vegetale, seppure nell’età dell’argento, ovvero del matriarcato, questo fluire tra i Regni di Natura, tra la dimensione umana, animale e vegetale, femminile e maschile, terrestre e celeste, umana e trascendente è ancora fortemente presente ed accessibile, o almeno lo è per le Donne.

Allo stesso modo dall’eterna primavera, tempo di mitezza e fioritura, emblema dell’equilibrio tra gli opposti, si passa alle quattro stagioni, le quali riflettono su un piano naturale la rottura dagli equilibri cosmici sopra menzionata. Si ha dunque una stagione in cui l’elemento yang, maschile, è dominante, ovvero l’estate, e una stagione in cui lo è quello ying, il femminile, ovvero l’inverno. Similmente, dal tempo della fioritura e dell’amore (etimologicamente -come già precisato precedentemente- “assenza di morte”), si arriverà gradualmente anche al tempo della decadenza e della morte, a segnare la fine in terra dell’eterna primavera dei mondi superiori, in cui “i fiori non avevano bisogno di appassire per fiorire di nuovo”, come narrato in una poesia celtica che accenna al regno degli Dei, ovvero la fine dell’immortalità.

Anche il principio interiore divino si allontana dal complesso psico-fisico di facciata delle forme umane, e la trascendenza, prima accessibile a tutti, in quanto tutti egualmente esseri divini, diventa possibile solo tramite l’iniziazione, femminile in questa particolare era, poiché dominata dalla Luna.

L’uguaglianza tra gli uomini ha quindi fine, dal momento che, secondo le antiche concezioni cui si fa riferimento, la divinità smette di essere innata nelle genti del mondo, come lo era precedentemente, e – da qui in poi, – qualora presente, necessita di pratiche iniziatiche per essere risvegliata e resa il principio dominante all’interno dell’individuo, riconnettendolo all’indifferenziato dell’universo e facendo sì che esso smetta di essere un individuo, dalla totalità del tutto separato.

Proprio per questo motivo, per il fatto che non tutti, di qui in avanti, sono egualmente vicini al divino, nasce probabilmente  il concetto di Regalità sacrale, ovvero di figure in parte umane e in parte divine, o di divinità incarnate il cui compito è fare da tramite tra terra e cielo per garantire ancora sulla terra la felicità dovuta alle benevole influenze divine.

E seppure questo concetto è al giorno d’oggi assai difficilmente proponibile, in quanto ci si basa su concezioni materialistiche ed empiristiche che certamente sono in opposizione a tutto ciò che questa realtà trascende, ovvero dei mezzi razionali e scientifici incapaci di misurare e di avere “prova” di ciò che è di per sé al di là di ogni misura, esso aveva forse perfettamente senso in società nelle quali il contatto con la dimensione divina non era da considerarsi come qualcosa di astratto, esoterico, utopico, irraggiungibile, argomento dei più svariati dibattiti, in fondo sempre e solo razionali, o, ancora, del tutto impossibile, in quanto agli occhi di molti inesistente la divinità stessa, oppure in fine, come qualche cosa di adatto soltanto a menti ottuse che non sono in grado di relazionarsi alla cosiddetta “realtà oggettiva”, o che da essa cercano rifugio etc.etc.

E in ogni caso, al di là delle più svariate opinioni che possano essere oggi espresse a tale proposito, l’età dell’Argento fu l’era delle Regine e delle Sacerdotesse, dei gruppi sacri (a questo proposito si confronti l’etimologia di sacro, citata nell’articolo precedente) di donne, dei gruppi iniziatici femminili in cui ancora si cercava e ritrovava la trascendenza attraverso la realizzazione interiore, ottenuta tramite l’iniziazione, dell’androginia primordiale, permettendo ancora, così facendo, all’armonia divina dell’era precedente di regnare sul mondo.

E’ questa un’era matriarcale, in cui la discendenza è matrilineare, in quanto il concetto di possesso, sia sulla terra che sugli animali, i bambini, gli uomini e le donne, è inesistente come nell’era precedente, così come lo è il concetto di coppia, e sarebbe quindi pressoché impossibile risalire al padre. Inoltre essendo i figli di tutta la comunità, non è rilevante quali siano i genitori fisici, in quanto tutti ugualmente responsabili della crescita dei piccoli, che vengono cresciuti insieme in comune. Anche qui, come nell’era precedente, non vi sono orfani, in quanto qualora i genitori naturali dovessero venire a mancare subentrerebbe comunque tutta la comunità.

Scrisse Esiodo: “…Come seconda una stirpe peggiore assai della prima,

argentea, fecero gli abitatori delle olimpie dimore,

 ne’ per l’aspetto all’aurea simile ne’ per la mente,

 ché per cent’anni il fanciullo presso la madre sua saggia

veniva allevato, giocoso e stolto, dentro la casa;

ma quando cresciuti giungevano al limitare di giovinezza

 vivevano ancora per poco, soffre
ndo dolori

per la stoltezza, perché non potevano da tracotante violenza

l’un contro l’altro astenersi, né gli immortali venerare

 volevano, né sacrificare ai beati sui sacri altari,

come è legge fra gli uomini secondo il costume. Allora costoro

 Zeus Cronide li fece morire adirato, perché gli onori

 non vollero rendere agli Dei beati che possiedono l’Olimpo…”

E ancora, Ovidio: “…Ma poi che Saturno fu cacciato nelle tenebre del Tartaro e il mondo soggiacque a Giove, subentrò l’età argentea, men preziosa dell’oro, più pregiata del fulgido bronzo. Giove contrasse la durata dell’antica primavera: con inverni, calure estive, incostanti autunni e brevi primavere fece volgere in quattro tempi l’anno. Allora, per la prima volta, l’aria riarsa da torride vampate prese a biancheggiare, e per i venti il ghiaccio si indurì in cannelli sospesi. Allora, per la prima volta, gli uomini si rintanarono nelle case; e case furono spelonche, dense macchie e verghe annodate da corteccia. Allora, per la prima volta, i semi di Cerere furono interrati nei lunghi solchi e gravati dal giogo gemettero i giovenchi…”

Iside, Giunone, Afrodite, Cerere, Freya, Diana, Artemide, Era, Gaia, Venere, Cibele, Devi, Brigid, Durga, Gea, Metis, Demetra, Persefone, Proserpina, Cora, Rea, Opi, Epona, Artio, Dwin, Fand, Morrigane, Danu, Arianrod, Ardvina, Flora o Floralia, Mater Matuta, Minerva, Vesta, Ishtar, Astarte, Athtar, ed ancora innumerevoli altri appellativi, per definire ciò che è di per sé al di là di qualsivoglia definizione, la Dea multiforme, Musa ed ispiratrice della seconda Era, divina, nell’era argentea venerata in tutte le sue infinite forme, come così bene descrive Uberto Pestalozza in Eterno Feminino Mediterraneo e in Religione Mediterranea, nonché in diversi suoi altri scritti, la Dea- donna o Dea-fiore, la Dea-nuvola e la Dea-frutto, la Dea lupa o cerva, la Dea-orsa, vacca, serpente, farfalla, pecora, capra, aquila, e via dicendo, la Dea-Terra e Luna, la Dea-Mare e la Dea-Sole. La Dea Vergine o Amante, Sorella e nel suo duplice aspetto di Madre-Figlia, ma mai sposa, e apateira, senza padre, indomita, dominatrice della dominazione stessa, Madre universa, fluida nel fluire dall’uno all’altro dei suoi regni e delle sue manifestazioni.

Con il passaggio al patriarcato, avvenuto in epoche e con modalità differenti in tutto il mondo, ella fu nei miti privata del suo stato di indipendenza primordiale, sottomessa al giogo del matrimonio, ed identificata in una o nell’altra delle sue forme, in uno o nell’altro ruolo a ciascuna delle sue manifestazioni preposto, in una visione statica che sia allontana dalla fluida e cangiante versatilità originaria, e che la vede ora protettrice di una o di quell’arte, delle partorienti o degli innamorati, dedita alla guerra o alle arti d’amore, vergine o amante o ancora sposa o figlia, vecchia saggia, Sibilla, bambina Vestale o Amazzone, Fata, bellissima Ninfa, o Maga, Strega, Guaritrice, o ancora Guardiana terrifica, ma mai l’intende, come in origine, quale essenza, quale forza divina sia maschile che femminile che può assumere le più svariate forme, tutte quelle sopra menzionate e altre ancora, come infinite sfaccettature, che in realtà sono sempre Lei, l’Uno, ovvero il tutto, in quanto ciò che è Madre-Padre del cosmo è allo stesso tempo il cosmo stesso in tutte le sue forme.

Può essere problematico tuttavia intendere più in profondità in cosa poteva consistere la vita nel mondo nell’Era dell’Argento, per via sia della segretezza di cui le sacerdotesse addette all’iniziazione femminile amavano circondarsi, sia perché le fonti che narrano della leggenda delle quattro ere, così come quelle che analizzano gli usi e i costumi, le religioni e le impostazioni sociali del matriarcato in tempi e luoghi diversi, di gruppi femminili autonomi presenti ovunque in tempi antichi differenti, e di sopravvivenze in epoche storiche meno remote di riti e modi di vita risalenti alla mitica era dell’argento, sono per lo più scritte e riportate alla luce da uomini, per i quali, sia in tempi antichi che in tempi moderni, potrebbe essere molto difficile comprendere, forse ancor più che per le donne, il più autentico e antico modo di essere femminile dell’Era dell’Argento, così lontano da quello di tutte le ere che lo hanno succeduto, inclusa ovviamente quella moderna.

Questo anche per il motivo che, seppure ciò ancora una volta possa essere oggigiorno considerato inaccettabile o addirittura “politicamente scorretto”, le vie iniziatiche femminili e maschili, furono sempre nettamente separate, in quanto, a parte rarissime eccezioni, le energie latenti da risvegliare per raggiungere la trascendenza erano profondamente differenti; dato che si trattava generalmente di vie secche che prescindevano dai rapporti, dalla sensualità e dalle emozioni per gli uomini e di vie umide e dolci, legate all’intima coralità femminile, alla voluttà, alla sfrenatezza, al riso, al gioco e al ritrovamento del cuore di bambina per le donne.

Anche una curiosità o interesse nei confronti dell’una o dell’altra via preclusa al proprio sesso, sarebbe stata allora da considerarsi profana e pericolosa, spesso causa della perdita della vita, come per esempio accadde in numerose leggende ai più svariati uomini che avevano osato spiare le Baccanti, le Ninfe, o altri gruppi di Vergini arcaiche, vergini non nel senso di fisicamente caste ma nel senso etimologico citato nell’articolo 4. “Il vocabolo italiano ‘vergine’ deriva infatti dalla parola latina virgo, ritunetua da alcuni etimologicamente affine a vir che significa ‘uomo robusto e forte’ o a vireo, ‘verdeggio’. Partendo dalla radice Varg, in sanscrito Urg‘, il significato del termine può essere ricondotto ad un essere turgido, gonfio, pieno di succo, forte, vigoroso, lussureggiante, pieno di energia. Al di là quindi dell’attuale interpretazione di questo vocabolo, la sua nascita lo avvicina a qualcosa di assolutamente distante dalla verginità fisica, ovvero ad uno stato di natura potente e selvaggia, di verde lussureggiante, di energia travolgente od ebbrezza. L’etimologia, conducendo innanzitutto ad una condizione di prorompente vitalità naturale che poteva caratterizzare un particolare modo d’essere femminile pieno di forza, non ha evidentemente nulla a che vedere con l’avere avuto un rapporto sessuale completo con un uomo e mette in luce come il senso moderno della parola sia totalmente distante da quello antico che, a questo punto, risulta un concetto da ricostruire ed esplorare.” E ancora: “la radice della parola rimand
a anche al greco ergon, cioè ‘attività, movimento, spinta, lavoro’ e piu precisamente ad orgao, che ha proprio il medesimo senso dell’essere pieno, ricco d’umore fecondo, rigoglioso, traboccante e colmo di ardore’ cui e’ strettamente associata la parola greca orgas, ovvero ‘terra fertile, umida, feconda, fiorente e florida’, orgia che significa ‘cerimonia segreta, culto misterico, rito sacro’, orghiasticos che signifiica ‘ispirato da un Dio’, infine orghiazo che ha il senso di ‘celebrare, prendere parte ad una festa orgiastica, vernerare, onorare, inziare ai Misteri’ (…) Cosi’ si puo’ capire perche’ Virgilio, nelle Georgiche, si riferisce ai riti bacchici definendo Vergini le fanciulle spartane che li praticavano.”***

***[Op. cit. Le Vergini Arcaiche, Leda Barne’, Edizioni della Terra di Mezzo, 2006]

Di quest’epoca incentrata sulle donne e sul femminile, per quanto come si è detto, si trattasse di donne e di un femminile dalla doppia natura, ossia in grado di avere attivi in sé sia i principi ying quanto quelli yang, o- secondo la tradizione alchemica- sia il serpente bianco che quello rosso, vi sono numerose tracce che la farebbero risalire al neolitico od anche ad un periodo ancora precedente, oscillando dal 7000 al 2000 a.C. per quanto riguarda i ritrovamenti sparsi un po’ ovunque in India, Europa e Medio Oriente, fino ad arrivare addirittura al 30000 a.C.

Tuttavia vi sono casi di civiltà ancora matriarcali in epoche molto più recenti, come certamente lo fu Creta, ampiamente descritta da Pestalozza nelle sue ricerche, ove il passaggio al patriarcato per opera degli Achei avvenne in maniera relativamente graduale, dal momento che, seppure i miti vennero distorti in chiave patriarcale e gli usi e i costumi nonché la struttura stessa della società precedente vennero modificati ed adattati a quella delle genti guerriere che subentrarono, molti aspetti di essa sopravvissero più a lungo, anche se in maniera meno esplicita e mascherata, ad esempio nella mitologia, dalla simbologia adottata con l’avvento del patriarcato, come per esempio l’avere mantenuto divinità femminili venerate precedentemente, che però furono appunto come già detto viste unicamente e staticamente nel ruolo loro assegnato, spesso anche in funzione del maschile, vedendole appunto anche nel ruolo prima inesistente di spose gelose, come nel caso per esempio di Era, distaccandole così dal loro archetipo, dalla matrice originaria che le racchiudeva tutte nelle loro più svariate forme, e svuotando così di senso il mito stesso, che in origine poteva forse avere il ruolo di inviare un messaggio, o dischiudere porte su vie alla trascendenza alle donne, a seconda delle diverse inclinazioni.

Le vie di iniziazione femminile, protette dal più assoluto segreto iniziatico, pare consistessero in  tecniche dolci volte al raggiungimento di dimensioni trascendenti tramite la realizzazione interiore del perfetto equilibrio androgino primigenio tra gli opposti, e legate alla gioiosa coralità femminile e alla condivisione materiale e immateriale, interiore ed esteriore di ogni cosa, come mezzo per svincolarsi dall’individualità e dall’individualismo umano per accedere all’indifferenziato universale. Tecniche basate sulla danza, sul canto corali, sulla gioia e sul riso, sull’incanto, e sull’Eros evocato come potente energia creativa e rigeneratrice nonché mezzo di trascendenza. In questi gruppi di sorelle sacre, ove l’ingresso al maschio è severamente precluso, il contatto e non divisione condal mondo naturale, quale parte della dimensione divina, venerata nelle sue manifestazioni animali, acquatiche, terrene, vegetali e celesti, è quindi ancora presente, come testimoniato da varie narrazioni che vedono per esempio le Baccanti allattare cerbiatti, o da diversi reperti d’arte preistorica e di tempi successivi, ove donne appartenenti a tali gruppi iniziatici sono rappresentate con i visi dei più diversi animali, -come per esempio accade nelle raffigurazioni rimaste delle Yogini,- o avvolte di serpenti, come nelle raffigurazioni delle Potnie mediterranee,- o nell’atto di trasformarsi in uccelli, o di allattare volatili.

Così descrisse Euripide le seguaci di Dioniso: “…tenevano al seno cerbiatti e lupacchiotti selvaggi e li allattavano offrendo loro mammelle gonfie, e tutte s’inghirlandavano il capo con corone d’edera, di quercia, di smilace fiorito. Una percosse una roccia con il tirso, e ne sgorgò una sorgente d’acqua fresca. Un’altra pianto il bastone al suolo, e di lì il Dio fece zampillare una fonte di vino. E quelle che avevano  desiderio della bianca bevanda graffiando il suolo con le dita traevano rivi di latte, e gocce di miele dolce, a gocce, distillavano dai tirsi d’edera…” Euripide, La letteratura greca.

 


Gruppi iniziatici di donne, sacerdotesse, guerriere, tribù e civiltà risalenti alla mitica Era dell’Argento, si mescolano tra la storia, la preistoria, la mitologia, e la leggenda.

Numerosi reperti archeologici, preistorici e storici, provano dell’esistenza di tali gruppi femminili e civiltà matriarcali. Ad essi si uniscono numerosi miti e fiabe, così come fraintendimenti, fantasie dettate dall’ignoranza, dalla paura, dall’invidia o dalla misoginia dei tempi e le più colorite calunnie, come ad esempio quelle che hanno descritto le Streghe come mangiatrici di bambini, sacrificatrici di animali e autrici degli arti più turpi, o le Baccanti come madri degenere che abbandonavano i propri figli o le Amazzoni come mutilatrici dei bambini maschi e via dicendo.

Per quanto riguarda le “streghe”, come furono definite ai tempi dell’Inquisizione, esse altro non erano che le seguaci dell’antica religione (religione nel senso etimologico, -precedentemente menzionato,- di ricollegarsi alla sfera metafisica) della Dea, spesso guaritrici ed esperte di erbe e rimedi naturali, -in quanto intrinsecamente connesse e partecipi delle energie rigeneratrici della Natura,- e strettamente connesse alle Fate, tanto da essere ad esse identificabili, come testimonia ampliamente Margaret Alice Murray nei suoi scritti Le streghe nell’Europa occidentale e Il Dio delle streghe, censurati dalla Chiesa e poi rimessi in circolazione in seguito. D’altra parte molte delle donne che furono catturate dall’Inquisizione e torturate in maniera abominevole, così da fare loro “ammettere” qualsiasi cosa fosse stato nell’interesse della Chiesa, spesso non erano affatto streghe, anche se forse alcune di loro si credettero realmente tali, ma piuttosto donne succubi delle isterie collettive dei tempi o delle sfortunate donne normali, magari semplicemente incapaci di nascondere un modo di essere ai tempi eccentrico o un carattere, o un modo di pensare troppo in contrasto con i modi di vita imposti dalla Chiesa nella comunità di appartenenza.

Certo è che i sacrifici di animali, considerati sacre manifestazioni della Dea stessa e
rano nell’Era dell’Argento qualcosa di inconcepibile, così come qualsiasi atto di violenza sarebbe da considerarsi estraneo alla atmosfera dolce di quest’era lunare, e quindi una calunnia infondata; ma se d’altra parte vi furono sacrifici di animali nell’ambito di sedicenti gruppi iniziatici femminili in tempi meno remoti essi furono certo segno di decadenza e prova del fatto che tali gruppi iniziatici non fossero più tali, ovvero non fossero più in grado di iniziare chicchessia alla trascendenza. D’altra parte però si potrebbe supporre che durante l’era del Bronzo, di cui si narrerà più avanti, in cui la violenza, la brutalità, gli uomini e la guerra dominavano il mondo, divenire guerriere come lo furono le Amazzoni, ed essere in grado di proteggersi con le armi se necessario, fosse in molti casi l’unico modo per proteggersi dall’essere violentate ed assoggettate. Ma probabilmente le Amazzoni non furono semplicemente donne-guerriere, ma bensì donne dedite ai culti dell’Era dell’Argento, che per continuare a vivere insieme secondo le antiche leggi, libere, sensuali ed inviolate, Vergini nel senso etimologico sopra citato, senza essere sottomesse dall’uomo, usavano le armi.

E’ vero tuttavia che numerose fiabe e leggende antiche narrano di uomini che avendo osato spiare tali gruppi sacri di Ninfe e Donne devote agli Dei, profanandone il segreto con i loro occhi di mortali, incontrassero la morte, e ciò potrebbe avere senso in un ambito nel quale la vita umana è incentrata sul culto degli Dei e sulla realizzazione interiore quando ancora in vita (e non solo dopo la morte, come in religioni successive) della divinità come unico scopo, e in cui quindi la vita fisica ha in confronto ben poca importanza, e diventa irrilevante o addirittura non auspicabile soprattutto se prolungata quando in opposizione alle leggi divine, ovvero quando smette di essere un mezzo per perfezionare la propria anima e renderla sempre più vicina e simile al divino, come si credeva fosse auspicabile e necessario.

I riti delle donne erano spesso celebrati in templi tondi a cielo aperto, oppure nei boschi e nelle radure più nascoste agli occhi dei profani, nei pressi di sacre fonti o sulle cime dei monti, ove la natura era più viva e incontaminata, anch’essa vergine, dato che si riteneva che tali luoghi  sarebbero stati certamente più propizi al risveglio delle energie latenti divine che permettevano la trascendenza. Questo per il motivo che si credeva che il simile chiama il simile, e quindi una Natura incontaminata, vergine, e di conseguenza sacra e divina, avrebbe facilitato l’accesso a tale dimensione, interiore così come esteriore, in quanto tali realtà, in un contesto trascendente, sono parte di un uno e di un tutto indifferenziato. I templi tondi, ricorrenti come già accennato nelle più varie culture, farebbero pensare all’uso del Calderone, anch’esso simbolo da sempre associato alla magia erotica femminile ed alla trascendenza, nonché all’abbondanza e alla guarigione, presente in svariate culture, così come ad esempio nella simbologia celtica, ove era definito ‘Calderone dell’abbondanza’ o ‘recipiente di Dagdè’ ed era ritenuto essere uno dei quattro doni divini portati dai Tuatha dé Danann dall’Isola Bianca (Avallon, ovvero Tir Na Nog, la Terra della Giovinezza) al loro arrivo in Irlanda, assieme alla Spada di Nuadu, alla Lancia di Lug ed alla Pietra del Destino.

Alla simbologia del calderone si potrebbe ricondurre anche la leggendaria coppa del Graal, custodito da divine figure femminili e foriero di una meravigliosa conoscenza, facendo anche presente che la parola grà in antico celtico significa amore.

Spesso, sia il senso originario delle fiabe e delle leggende, che quello dei reperti storici e preistorici, fu più o meno distorto, se non completamente occultato. Ciò avvenne principalmente per via dell’avvento delle società patriarcali guerriere, avvenuto ovunque nel mondo in tempi diversi, e successivamente per opera delle religioni monoteiste, così come pure di filosofie ispirate per esempio alla scuola aristotelica, o al pensiero empiristico, o materialista, o illuminista, o decadentista, o realista, o verista e via dicendo, nonché della psicologia moderna e dell’accettazione da parte della stragrande maggioranza dei popoli di un mondo relativamente antico, ed anche moderno, di una visione e di un approccio all’antropologia e allo studio della storia e della preistoria, le cui fondamenta sono già di per sé una distorsione in opposizione alla realtà originaria, e dunque incapaci di rendersi effettivamente un possibile mezzo per ricercarla, riportarla alla luce ed intenderla al di là delle visioni ed ideologie vigenti nella società di appartenenza, le quali hanno quasi sempre creato una rete di preconcetti, assunzioni erronee e presupposti di per sé devianti che hanno quasi sempre costituito una barriera quasi insormontabile, un filtro che ha portato a fraintendere alcuni dettagli cruciali e a tralasciarne altri, così da costituire tesi, ipotesi e teorie spesso molto lontane da ciò che era la realtà allora.

Tuttavia, rianalizzando, con occhi diversi, tali fiabe e leggende, nonché tracce lasciate nel corso della storia da queste misteriose figure femminili facenti parti di catene iniziatiche che parrebbero risalire alla notte dei tempi, si potrebbe forse meglio intendere ciò che l’Era dell’Argento avrebbe potuto essere.

Si pensi dunque, guardando a ciò in         questa diversa prospettiva, alle Vestali, al culto di Estia (seppure in tempi di decadenza, come accadde per numerosi altri ad esso analoghi, fu utilizzato per scopi volgarmente politici e nel primo secolo d.C. il fuoco un tempo considerato sacro e di pertinenza esclusivamente femminile in quanto da sempre simbolo dell’iniziazione e della trascendenza delle donne, che attraverso di esso garantivano tra le altre cose la buona influenza della Dea su tutta la comunità, fu affidato ad uomini); alle seguaci di Brigid, considerata in Irlanda l’incarnazione della grande Dea primordiale che la onoravano nel cosiddetto recinto di Brigid, tondo come il tempio delle Vestali e delle Yogini della tradizione tantrica addette al rito di Kaula; si pensi alle praticanti del Sehidr devote a Freya, alle figlie degli Homoi (ovvero ‘gli uguali’, le genti più nobili tra gli Spartani), agli Agelai spartani, alle Menadi, alle Baccanti, alle Tiadi e alle Lenee, dedite al Dio androgino Dioniso, od alle praticanti del culto della Bona Dea, e alle seguaci di Artemide, alle Orsette, bambine che veneravano la Dea sotto forma di orsa in un tempio a lei dedicato vicino ad Atene e alle sue giovanissime sacerdotesse di Sparta. Si pensi alle Gallisenae, nove Vergini addette all’oracolo di una divinità gallica nell’isola di Sena, o alle Sacerdotesse celtiche dedite al culto di Dioniso in un’isola inaccessibile agli uomini alle foci della Loira.

Si pensi ancora ai riti tenuti a Cipro in onore di Afrodite-Arianna, ove Arianna viene da ariane, ovvero la ‘massimamente pura’ o la ‘massimamente vergine’, in quanto agnes, epiteto spesso riferito ad Afrodite ed alle sue seguaci, t
ra cui per esempio Saffo, significa appunto pura, Vergine nel senso antico.

Si pensi ai tanto fraintesi Tiasi greci, come appunto quello di Saffo, che forse non era affatto gruppi di omosessuali né una scuola per fanciulle nobili dove apprendere le arti della danza e della poesia, né una sorta di  istituzione sociale dove le giovani nobili venivano preparate al matrimonio imparando tutto ciò che avrebbero dovuto sapere, anche a livello intimo, ma era bensì un gruppo iniziatico femminile, dedito al culto delle Muse e di Afrodite, cui Saffo è sovrapponibile in quanto Maestra spirituale il cui compito era di insegnare alle fanciulle del Tiaso a rendersi simili, fino a divenirne esse stesse incarnazione e manifestazione nel mondo, al loro archetipo divino, ovvero alla Dea dell’Amore sacro, svincolato dal matrimonio e dall’uomo (e pur tuttavia non dalla sensualità e dall’erotismo trascendente) al contrario di quanto si crede e credette con l’avvento del patriarcato. Ma della Dea autonoma senza padre né madre, libera dal giogo del matrimonio, a cui il maschile si può unire solo nella forma di Paredro, e quindi di pari, ma mai di superiore, di padre, marito, maestro o padrone, si parlerà più avanti.

Si pensi poi alle Fraubunden germaniche, segreti gruppi di donne dedite al culto di Frau Holle, Dea germanica; alla Dea Sole celebrata dai Celti a Bath, detta dai Romani ‘Minerva Sulis’; si pensi alle Raganas, le Streghe baltiche.

Alle Yaksini, divinità femminili in India associate alla fertilità e alla fioritura, alle Driadi, Ninfe dei boschi; alle Asparas, Ninfe abitanti la montagna detta Kailasa, sede del Dio Siva; si pensi alle Anguane del popolo dei Fanes, posto a nord del Trentino, creature leggendarie delle acque sorgive e profetesse del futuro e del passato ma non del presente, e alle Mjanines, che potevano guidare gli uomini nella valle dei desideri, dove era possibile riavvolgere il filo del destino. Si pensi certo alle Muse ispiratrici delle arti, alle Moire ed alle Norne tessitrici di destini, alle Amazzoni, indomite Vergini guerriere, alla leggenda di Tem Eyos Ki delle Native Americane dell’isola di Vancoover, o alla fiaba di Baba Yaga, ma anche di Circe che non a caso trasformava gli uomini in animali, di Cenerentola, di Biancaneve, o anche della Bella Addormentata nel bosco. Tutte queste favole, e questi gruppi di donne, reali o mitici citati, celano vie iniziatiche femminili alla trascendenza, al ricongiungimento simbolico degli opposti (per esempio il Principe Azzurro e la Fanciulla protagonista nelle favole classiche e la sconfitta della matrigna malvagia, simboleggiante l’ego tiranno), poi fraintese, così che le fiabe e le leggende furono rinarrate in chiave diversa e i reperti archeologici, e le tracce nella storia e nella preistoria letti in maniera differente.

Si pensi alle Vergini custodi dei più svariati oracoli, come per esempio le Sacerdotesse di Dodona o alla Pizia Delfica, ove il nome di Delfi derivava dalla parola delfis, che in Greco significa “oltre che ‘delfino’,  ‘utero’ ed era utilizzata anche per designare i genitali femminili. Questo potrebbe suggerire che tale luogo, sacro alla Dea, poteva essere considerato simbolicamente proprio come un magico e potente grembo della Madre Terra…” [Le Vergini Arcaiche, op. cit.]

Si pensi al Wuismo, lo sciamanesimo femminile cinese e alle profetesse dette Wu, intermediatrici in terra del Divino, o alle Miko (letteralmente ‘figlie degli Dei’)  giapponesi dell’isola di Okinawa, ove la discendenza era matrilineare e le donne rivestivano un ruolo fondamentale in ambito religioso, anch’esse con un ruolo di intermediarie, oppure Kuchiyose (il cui significato letterale è ‘ascoltare la voce degli Dei e degli Spiriti’, ‘consultare gli oracoli’, ‘donne che fungono da intermediarie’);.si pensi poi alle Yuta, o Yuta-Monoshiri, donne di conoscenza e profetesse che avevano il ruolo di comunicare con gli Dei. [Le Vergini Arcaiche, op. cit.]

Si pensi anche alle Sibille, praticanti dell’arte della mantica; “…Ecco davvero quanto è degno di essere addotto a testimonianza, cioè che fra gli antichi la mania [follia’] non fu ritenuta cosa vergognosa né oggetto di biasimo neppure da coloro che stabilivano i nomi: altrimenti infatti non avrebbero connesso questo stesso nome alla più bella delle arti, con cui si discerne il futuro, e non l’avrebbero chiamata manikè [‘arte folle’]. Ma poiché ritenevano che la follia fosse una cosa bella, quando nasce per una sorte divina, stabilirono questo nome. Gli uomini di oggi invece, con ignoranza del bello, hanno inserito una -t- e l’hanno chiamata mantiké [‘arte divinatoria’]”. Scrive Platone nel Fedro.

Con il passare del tempo, come accadde a molte altre Sacerdotesse il cui ruolo era anche legato al riversare i buoni influssi divini nel loro ambito per il benessere di tutta la comunità di appartenenza,  anche tutte le figure divine di profetesse e di tramiti con il Divino, a cui erano attribuiti poteri soprannaturali oltre a quelli profetici, persero queste caratteristiche e furono viste solo come profetesse di cui servirsi per scopi personali o politici e quindi profani, in modo assai simile a quanto avvenne per esempio come già accennato con le Vestali e le addette al culto di Vesta o di Brigid, le quali erano originariamente custodi del Fuoco sacro, a simboleggiare la permanenza della luce divina nel mondo, di una via per ricongiungersi ad essa, nonché di mezzi iniziatici femminili connessi all’accensione interiore del Fuoco umido per raggiungere tale scopo, così come di mantenere l’armonia e la giustezza sulla terra di mezzo.

Ci si potrebbe chiedere a questo punto quale fosse il ruolo del maschile all’interno di una simile società lunare di dominazione femminile, nonostante come già detto, la divinità ispirante in quanto tale fosse sempre e necessariamente androgina, così come lo è la Luna quando è piena, in quanto riflette il principio solare.

Il maschile, che sia esso nella forma di uomo, Dio o animale, facente parte della dimensione sacra dell’era dell’Argento, assume le forme del Paredro, figlio, fratello e amante della Dea.

Un maschile divino in grado di fluire armonicamente da un regno all’altro della Dea, ovvero di Natura, vegetale, animale ed anche ‘umano’ -non in senso strettamente etimologico-; un maschile che mai si impone e sempre è pari, ma in nessun caso padre o unico sposo, né padrone, ovvero mai è al di sopra, mai è prevaricante, mai è minaccia dell’intatta e incorrotta pienezza primordiale, della purezza dell’incontaminato, di ciò che fu in Grecia definita agne, la verginità magica (non castità) nel senso citato nell’articolo precedente, descritto nel già citato  “Le Vergini arcaic
he” di Leda Barnè.

Un maschile che dopo avere superato le innumerevoli prove a cui esso deve essere necessariamente sottoposto dalla Dea stessa per provarsi degno di esserle al fianco, è completamente in grado di percepire, quali che siano le forme da Lei assunte, la sacralità dell’essenza dietro ciascuna di esse, ed in tali forme amarla, onorarla e venerarla, sia essa donna, albero o fiore, nuvola, volatile o animale della terra, dei fiumi o del mare, fondendosi anch’egli in tale forma e quindi nel grembo della Grande Madre; così come è del resto raffigurato da numerosissime statue, e descritto da fiabe e leggende che narrano di Dei e Dee che assumono le forme dei più svariati animali per congiungersi. Esemplari rappresentazioni del maschile solare divino e paredri erano il toro, l’ariete ed il cervo.

Vi sono poi figure di paredri descritti dai miti come entità fatate maschili metà umane e metà caprine, quali i Panischi, i Fauni, i Centauri e i Satiri, parte dei cortei di Fate e Ninfe nonché di Dei androgini, e quindi detentori anche dei Misteri della Grande Dea primordiale, quali per esempio Odino, Bacco, Dioniso e Libero, che guidarono, -al pari di Dee quali Freya, Artemide, Frau Holle, Berta, Afrodite e molte altre-, e incitarono le donne a lasciare le loro case e a seguirli sulle cime dei monti per tornare a praticare i loro antichi riti di gioia e di libertà.

Pare vi furono anche rarissimi casi in cui giovani dai tratti animici femminei fossero ammessi ai riti delle Donne, come ad esempio nei Riti Tantrici, spesso oggigiorno grossolanamente fraintesi e distorti, così da creare una visione infinitamente lontana da ciò che probabilmente erano in origine, ovvero tecniche erotiche -e dunque di dominio femminile- di iniziazione, a cui  i maschi erano probabilmente solo in rari casi ammessi, e soltanto nella più che mai rara eventualità che essi recassero in se stessi la doppia natura, ovvero anche femminile, e soprattutto che fossero in grado di intendere il sacro nelle Donne, nonché privi di desiderio di dominare e possedere. Essi non erano mai, infatti, in posizione dominante rispetto alle Sacerdotesse (a meno che certamente non si trattasse di Dei incarnati, come vedremo più avanti, che pur avendo caratteristiche fisiche maschili erano in realtà androgini, e quindi anche Dee essi stessi), né certamente indispensabili, come vorrebbe la visione che del tantra hanno i moderni, che propone -distorcendoli oltre misura- tali antichissimi riti in best sellers spesso reperibili in un qualunque supermercato, come mezzi per migliorare il sesso di coppia, oppure in corsi aperti a chiunque (purchè si paghi) per uomini e donne attratti dall’esoterico che dicono di volere raggiungere il divino, che sicuramente non diverrà mai accessibile, ma anzi diverrà sempre più lontano, attraverso tali messe in scena, spesso riprovevoli, o anche solo umane, che aprono intimamente alle energie oscure e caotiche del mondo moderno dominato da Kali. E ciò in quest’ottica proverebbe ancora una volta come tutto ciò che significava luce in quei tempi lontanissimi celati dalle favole e divenuti una leggenda sia stato capovolto nelle ere successive, così lontane dalle dimensioni di gioia divina dell’Era della Luna.

Segue quarta parte, “Era del bronzo”, sul numero 1 di gennaio, febbraio, marzo 2008, prossimamente on line.

 

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