#PerNonDimenticarChiÈStato?

L’ERA DELL’ORO

mercoledì 09th, Gennaio 2008 / 11:25 Written by

di Lavinia Grenwell

(seguito dal n. 1 marzo-aprile-maggio 2007)

L’ERA DELL’ORO – parte prima.

"Germinò l’età prima, quella dell’oro, che spontaneamente, senza chi punisse, senza costrizione di legge, praticava lealtà e giustizia. Paura di pena era ignota, ne’ si leggevano su esposte tavole di ‘bronzo’ minacciose parole, ne’ supplice la gente paventava gli sguardi del proprio giudice, ma senza giudice, vivevan sereni. Non ancora, reciso, il pino dai suoi monti era sceso nelle fluenti onde, per visitare il mondo remoto: gli uomini altri lidi non conoscevano all’infuori dei propri. Non ancora profondi fossati cingevano mura cittadine; non esisteva la tromba lunga di bronzo, ne’ il bronzeo corno ritorto, ne’ elmo, ne’ spada; senza necessità di guerrieri, tranquille le genti traevano riposi sereni. Anche la terra medesima, vergine, non tocca da attrezzi, ne’ lacerata da aratri, di per sé, tutto produceva; e gli uomini, appagati di frutti spontanei, senza che la terra li costringesse, raccoglievano bacche di corbezzolo, fragole montane, corniole, more appese a irti roveti e ghiande, che erano cadute dal frondoso albero di Giove. perpetua era la primavera: zefiri sereni, con tiepidi soffi, accarezzavano fiori germogliati senza seme. E tosto anche le messi produceva la terra pur non arata; pur non lasciato a riposo, il campo imbiondiva per spighe ricolme; ora fiumi di latte, ora di nettare scorrevano, e dal verde leccio stillavano gocce di giallo miele…"*

* [Le Metamorfosi, Ovidio, Bompiani , Milano, 1991]

Gli Indù la chiamarono Satya Yuga, l’Era della Verità, l’Era di Krita, Era della Purezza, – era l’era in cui il Toro Dharma, sempre secondo gli Indù, si reggeva ancora su tutte quattro le sue zampe, che perderà successivamente una dopo l’altra, fino al crollo del mondo-; l’Aurea Era di Kronos per i Greci; l’Era dell’Oro per i Romani; l’era in cui, anche secondo i Sioux, il bisonte posto ad ovest per respingere le acque della distruzione, si reggeva a sua volta ancora su tutte quattro le sue zampe ed era ancora provvisto del suo folto pelo, che perderà gradualmente in ere successive.

L’Era dell’Oro era forse, secondo la leggenda, l’era del dominio e dello splendore sulla terra, di Atlantide, l’era dell’Isola Bianca o Isola di Avallon per i Celti, oppure ancora della Contrada Suprema delle genti del Tibet, detta "Paradesha", e in mille altri modi ancora da mille altri popoli. L’era in cui il mondo, detto ‘Terra di Mezzo’, -in quanto posto a metà tra il mondo degli Dei e il mondo degli inferi- era ancora tali luoghi mitici di divina armonia, prima che essi si allontanassero, si occultassero su montagne e isole avvolte di nebbia, per poi scomparire dalla nostra terra, ovvero divenire inaccessibili e completamente separati dalla dimensione umana, ritirandosi oltre barriere che nessun mortale avrebbe potuto oltrepassare, se non attraverso l’iniziazione, che lo avrebbe reso appunto divino, purificato, e quindi immortale come l’uomo dei primordi.

L’Era dell’Oro era dunque l’era dell’Amore, parola che etimologicamente potrebbe essere scomposta in a-mors, dove ‘a’, l’alfa privativo greco avrebbe la funzione di indicare l’assenza, la negazione della parte successiva della parola, ovvero mors,mortis, morte in Latino, con l’evidente significato di ‘assenza di morte’.

In culture anche lontanissime tra di loro, che spesso non potevano essere in alcun modo contatto l’una con l’altra, vi sono tracce di  leggende, per molti aspetti similissime, a volte quasi identiche tra di loro, che narrano di quattro ere del mondo, in cui, da uno stato di perfezione in cui esso rifletteva la luminosità, la gioia e l’armonia degli infiniti mondi divini posti oltre il tempo e lo spazio, arriverebbe a riflettere, attraverso una lenta ma inarrestabile degenerazione, i mondi inferi delle tenebre e del caos, della sofferenza, della violenza e via dicendo, per poi successivamente ritornare alla luce originaria, in un ciclo senza fine. Tutto parte come di un eterno gioco cosmico (cosmo che letteralmente significa ordine), di un’Altalena, che dalle vette più alte ed indicibili si lancia lentamente verso gli inferi, attraverso i millenni (che forse per gli Dei potrebbero essere solo questione di pochi minuti), per poi risalire di nuovo verso l’alto, alla fine del tempo. Un immenso Gioco cosmico e universale, in cui questo pianeta, simbolicamente posto tra i mondi del Cielo e i mondi sotto la Terra, è destinato a riflettere e a divenire, ciclicamente gli uni e poi gli altri.

Un’Altalena parte di un ineffabile mistero in cui il bene e il male, la luce e l’oscurità’, la sofferenza e la gioia, lo squallore e la bellezza, giocano, per quanto diametralmente opposti, ruoli di eguale importanza nell’ordine dell’universo e sono egualmente parte dell’Uno divino, del Tutto, due facce opposte della stessa Entità Divina, Madre e Padre della vita come della morte, della creazione, come della distruzione,- e dunque da un punto di vista spersonalizzato più ampio, il disordine ha il suo ruolo in una prospettiva di ordine più vasta, così come il buio in una realtà di luce sempre e comunque dominante a livello cosmico. La parola ‘Dio’, derivante da ‘Deus’, ha origine del resto "dalla radice sanscrita Div, che significa ‘brillare, splendere, essere luminoso."**

**[ Le Vergini Arcaiche, Leda Barné, Edizioni della Terra di Mezzo, 2006]

Emblematica a questo proposito potrebbe per esempio essere l’antica credenza che Set, Dio egizio della distruzione, verrà riaccolto alla fine del tempo nella barca di Ra.

"(Anticamente) la gente aveva una natura costante, si tesseva I propri vestiti e coltivava la terra per mangiare. Questo era ciò che chiamiamo la Virtù della Vita Comune. Era unita, formando un sol gruppo: questo era ciò che chiamiamo la Libertà naturale…All’epoca della perfetta virtù gli uomini vivevano in comune con uccelli e gli animali e formavano una sola famiglia con tutte le creature – come potevano essi sapere di tali distinzioni come "principi" e "vassalli"? Pur vivendo senza "sapere" essi si attenevano (alla via della) loro virtù naturale". Questo era ciò che chiamiamo lo stato di Pura Semplicità. In quello stato la gente conservava la sua "natura costante."***

***Estratto dal Chuang Tzu, Scienza e Civiltà in Cina, Joseph Needham, Giulio Einaudi editore, 1983 Torino.

Nella leggendaria Era dell’Oro non c’erano divisioni né contrasti tra gli uomini perché tutti gli uomini erano uguali, in quanto tutti erano egualmente divini. Divini e in grado di riconoscere, di amare e di venerare il divino in ogni sua forma, e quindi nella terra e negli animali, negli alberi e nei fiumi, nel mare come nel cielo e nelle stelle, nelle donne come negli uomini ed in se stessi.

Parte seconda

"…Prima una stirpe di uomini mortali

fecero gli immortali che hanno olimpie dimore.

Erano i tempi di Crono, quand’egli regnava nel cielo;

come Dei vivevano, senza affanni nel cuore,

lungi e al riparo da pene e miseria, né per loro arrivava

la triste vecchiaia, ma sempre ugualmente forti di gambe e di braccia,

nei conviti gioivano, lontano da tutti i malanni;

morivano come vinti dal sonno, e ogni sorta di beni

c’era per loro; il suo frutto dava fertile la terra

senza lavoro, ricco e abbondante, e loro contenti,

sereni, si spartivano le loro opere in mezzo a beni infiniti,

ricchi di armenti, cari agli Dei beati…"*

*[Opere e Giorni, Esiodo, Rizzoli Editore, Milano, 1983]

Tale narrazione dell’Era Aurea, come quelle citate nell’articolo precedente, suoneranno probabilmente assai remote, e da considerarsi solo delle favole adatte a coloro che deside
rassero fuggire dalla "realtà", e non certo come possibili radici originarie di essa.

Tanto lontano il mondo odierno è dalla bellezza e dalla felicità, da ritenere favole tutto ciò che non rifletta la miseria attuale e narri invece di tempi felici e privi di contrasti e di problematiche, oggigiorno ritenuti quasi auspicabili e necessari, e in un certo senso "prova" che ciò a cui si riferisce sia "reale".

Del resto è una caratteristica prettamente umana l’arroganza che porta a usare e ritenere validi solo i parametri inculcati e scelti dalla propria società, cultura, classe sociale o gruppo di appartenenza, per nascita, o successivamente per scelta personale, escludendo tutto il resto. Questo è un mondo in cui la mediocrità, la banalità, l’ingiustizia, la sofferenza, lo squallore, la tecnologia, il consumismo, la volgarità di massa e dei mass-media, il qualunquismo, la violenza, l’egoismo e il cieco interesse solo alla propria piccola vita personale e al proprio piccolo micro-cosmo, così come le guerre, la povertà, la miseria, la sovrappopolazione, la New Age, le istituzioni, i tribunali, le scuole, gli enti ecclesiastici, le innumerevoli vie pseudo-esoteriche vendute come qualsiasi altra merce sul mercato,-senza nessuna reale e quanto mai esclusiva selezione come avveniva nella realtà delle tradizione da cui tali pseudo vie reclamano di provenire,- ecc. ecc. sono la normalità, non certo lo è la felicità.

Il ruolo della felicità, se mai presente, è nelle nostre vite di più o meno integrati cittadini o abitanti del mondo, qualcosa di fuggevole e caduco, come ogni altra cosa su questa terra.

Quindi le narrazioni dell’Era Aurea possono solo essere fantasie, del tutto irreali, perché solo ciò che l’uomo, piccolo, miserabile e limitato mucchio di ossa e carne, circuiti cerebrali ed emotivi può sperimentare come ‘reale’ con i suoi cinque sensi, può essere tale.

E’ tuttavia interessante notare a questo proposito che forse dalla parola realtà, dal latino res, regis, che significa ‘cosa reale’,deriva l’aggettivo ‘reale’, che significa vero ma anche regale, nobile, ed etimologicamente può essere fatto risalire, oltre che a res, regis, anche a rex,regis, ovvero re, accusativo regem, difficilmente scollegabile dal latino règere, reggere, dominare, governare, e collegabile alla radice sanscrita rag, esser chiaro, illustre, a cui vari etimologisti appoggiano rag’àn, indotti dal verbo rag’ati, che dà nozione non solo di reggere, cmandare, ma anche di risplendere, connettendosi ancora all’etimologia già citata di divinità, a sua volta connessa con lo splendere e la luce.

Inoltre nella parola realtà potrebbe anche essere ravvisabile l’aggettivo ‘alto’, dal latino altus, divenuto grande, cresciuto per nutrimento, da alo, faccio crescere, aumento, nutrisco – che s’innalza da terra, sublime, eccelso, e fig. nobile, illustre.

L’origine di questa parola ricondurrebbe quindi a un significato completamente diverso da quello attuale. La realtà potrebbe essere infatti, qualcosa di alto, di nobile, di splendente e di regale, e quindi ciò che tale non fosse potrebbe al contrario essere ritenuto irreale, come la stragrande maggioranza del mondo attuale.

E’ un’ironia che il fatto di proporre un’idea così antica e tradizionale possa essere un atto tanto rivoluzionario, problematico, facilmente fraintendibile e giudicabile, criticabile, considerabile inaccettabile o folle, o addirittura ingiusto nei riguardi dei cosiddetti diritti umani, al tempo d’oggi.

Eppure tale regalità primordiale fu in tempi successivi sempre l’obbiettivo di qualsiasi reale iniziazione volta alla realizzazione interiore di dimensioni trascendenti. Questo potrebbe essere per esempio testimoniato dalla tradizione alchemica, il cui simbolico obbiettivo era quello di trasformare i metalli volgari in oro, e la cui più alta meta era il Rebis, ossia il divenire all’interno di sé "due volte Re", Re sia della parte maschile che di quella femminile, -nell’ uomo comune in costante opposizione,- e ritrovando quindi l’androginia dei primordi.

Le donne e gli uomini dell’Età Aurea erano infatti androgini, recanti in se stessi la doppia natura, sia maschile che femminile. La parola ‘androginia’ ha infatti etimologia greca, ed è formata da andros che significa ‘uomo’, e gune, che significa donna.

Essi erano esseri tanto simili agli Dei da essere Dei essi stessi, e poiché in tempi antecedenti il patriarcato  politeista ed il monoteismo si credeva che tutto ciò che era divino fosse androgino,mai solo maschile o solo femminile, e dunque completo, tali erano anche le donne e gli uomini dei primordi, mai completamente differenziati, e di nulla di esterno avevano bisogno per completarsi.

Tale completezza, significava soddisfazione e gioia assoluta e costante, un armonia pura e perfetta che donava la trascendenza, contatto costante con il divino in terra. Essa fu rappresentata da Platone, nel Simposio, con la forma di sfera, emblema di perfezione. La condivisione amorosa e di tutto il resto, non era quindi per necessità ma semplicemente conseguenza di gioia e naturalezza istintuale, e quindi animale, ovvero dell’anima, completamente manifesta negli individui di allora, a differenza di quelli odierni, connettendoli intrinsecamente al regno naturale e animale, ovvero al  sacro.

Non c’erano divisioni tra uomini, animali e natura. Tutto era parte dell’amore sacro della Grande Madre-Padre, veneratao, amatao e onoratao oltre ogni limite in ogni sua forma, maschile e femminile, umana, animale, vegetale, minerale, di terra o cielo. Tutto era parte della natura vergine e incontaminata, come descritto nelle narrazioni citate.

Non esisteva il matrimonio né il rapporto esclusivo di coppia, non era concepito nessun tipo di possesso o di concetto di proprietà, su terra, animali, bambini o uomini.

A proposito di amore sacro, di animali, e di terra vergine, si vorrebbe a questo punto far notare che la parola ‘animale’ ha la stessa radice di ‘anima’, e ciò potrebbe rimandare al concetto per esempio di Totem degli Aborigeni del Nord America, ovvero al fatto che l’uomo è nel profondo, nell’anima, un animale, e quindi, qualora l’anima fosse ancora presente in un individuo, -almeno in potenza-, esso sarebbe ancora potenzialmente parte del mondo naturale da cui trae la vita e a cui ritornerà con la morte. Anche se a questo proposito potrebbe essere rilevante notare che certi animali, anticamente creduti essere incarnazioni provenienti dai mondi del caos, non esistevano nell’Era dell’Oro, come ad esempio certi insetti o i topi.

Invece la parola ‘sacro’, dal latino sacer, "…potrebbe essere considerata derivata dalla radice indeuropea sac, sak, sag, che ha il senso di cercare, attaccarsi, come in antico tedesco suochan ed in tedesco moderno suchen, che vuol dire cercare, ed il lituano segti, che vuol dire attaccare…Ovvero tale parola deriva dal sanscrito sacate che ha il senso di ‘seguire, accompagnare’ ed a volte anche di ‘adorare’ con riferimento alla Divinita".**

**[All’Origine delle Parole, Mario Negri, Edizioni delle Terra di Mezzo]

Infine la parola vergine, riferita precedentemente alla natura allora intatta, di cui d’altra parte la donna (ma nell’Era dell’Oro, essendo androgino, anche l’uomo) si era sempre considerata manifestazione, originariamente non significava ‘casta’, quanto piuttosto ‘intatta’. La verginità delle donne, degli uomini e del mondo animale e vegetale della prima Era è quindi emblema dell’Era stessa.

"Il vocabolo italiano ‘vergine’ deriva infatti dalla parola latina virgo, ritunetua da alcuni etimologica
mente affine a vir che significa ‘uomo robusto e forte’ o a vireo, ‘verdeggio’. Partendo dalla radice Varg, in sanscrito Urg’, il significato del termine può essere ricondotto ad un essere turgido, gonfio, pieno di succo, forte, vigoroso, lussureggiante, pieno di energia. Al di là quindi dell’attuale interpretazione di questo vocabolo, la sua nascita lo avvicina a qualcosa di assolutamente distante dalla verginità fisica, ovvero ad uno stato di natura potente e selvaggia, di verde lussureggiante, di energia travolgente od ebbrezza. L’etimologia, conducendo innanzitutto ad una condizione di prorompente vitalità naturale che poteva caratterizzare un particolare modo d’essere femminile pieno di forza, non ha evidentemente nulla a che vedere con l’avere avuto un rapporto sessuale completo con un uomo e mette in luce come il senso moderno della parola sia totalmente distante da quello antico che, a questo punto, risulta un concetto da ricostruire ed esplorare." E ancora: "la radice della parola rimanda anche al greco ergon, cioè ‘attività, movimento, spinta, lavoro’ e piu precisamente ad orgao, che ha proprio il medesimo senso dell’essere pieno, ricco d’umore fecondo, rigoglioso, traboccante e colmo di ardore’ cui e’ strettamente associata la parola greca orgas, ovvero ‘terra fertile, umida, feconda, fiorente e florida’, orgia che significa ‘cerimonia segreta, culto misterico, rito sacro’, orghiasticos che signifiica ‘ispirato da un Dio’, infine orghiazo che ha il senso di ‘celebrare, prendere parte ad una festa orgiastica, vernerare, onorare, inziare ai Misteri’ (…) Cosi’ si puo’ capire perche’ Virgilio, nelle Georgiche, si riferisce ai riti bacchici definendo Vergini le fanciulle spartane che li praticavano."***

***[Op. cit. Le Vergini Arcaiche, Leda Barne’, Edizioni della Terra di Mezzo, 2006]

Riti simili a quelli citati, così come quelli in onore di Dioniso o di Bacco, furono praticati in modo estremamente simili dalle più svariate culture, dall’estremo oriente al bacino del mediterraneo ed al nord Europa, così come anche a Roma in onore di Libero, Dio a sua volta androgino, proprio per rievocare nella propria interiorità la purezza dell’Era dell’Oro. I riti Bacchici furono infatti anche definiti, riti purificanti, perché vissuti come mezzo per trascendere l’umano e ricongiungersi alla sfera del divino dei tempi primordiali. Tuttavia ciò potrebbe essere assai problematico da intendere, secondo tali arcaiche visioni, in questa era oscura, corrispondente al Kali Yuga Indù, ovvero alla quarta e ultima era di cui si narrerà più avanti, perché sarebbe nell’ordine naturale delle cose che ciò che era ritenuto puro e sacro nell’Era dell’Oro sia considerato, e spesso divenuto, completamente opposto nella quarta. E quindi in tempi di decadenza, come accadde nei Saturnalia della Roma decadente -che vennero appunto vietati a meno che non avessero carattere sacro-, tali riti legati all’Età dell’Oro non potevano che diventare basse manifestazioni di individualità volgari e caotiche completamente sconnesse dalla verginità sacra nel senso sopra citato e dalla divinità.

Al di là tuttavia di quali possano essere le più svariate opinioni a questo proposito, può essere interessante accennare all’etimologia di un’altra parola, ovvero di ‘libertà’, quella che forse meglio può descrivere l’età aurea in ogni senso, in cui l’uguaglianza tra donne, bambini e  uomini, e tra  uomini, piante e animali non era un’utopia. Libertas, libertatis ha origine da lubh, che nell’antica lingua indoeuropea significava ‘desiderare’, da cui anche le parole latine libido e libo, ove la prima ha il significato di ‘desiderio di piacere’ ed anche di ‘libero arbitrio, sfrenatezza, e licenza senza regole’, e la seconda di "offrire agli Dei, assaggiare, gustare".

Segue terza parte sul prossimo numero di ottobre-novembre-dicembre 2007

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

To top ↑