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SALUTE E DIRITTI UMANI: UN’ENDIADI NECESSARIA.

sabato 05th, Gennaio 2008 / 10:02 Written by

Relazione di Avvocati senza Frontiere

Università di Bari, Aula Magna Facoltà di Medicina, 27 aprile 2007.

Verso un osservatorio permanente sulle violazioni dei diritti umani nel campo della salute. Gli obblighi violati da parte dello Stato Italiano (seguito dal n. 1 marzo 2007).

Relatore Dr. Pietro Palau Giovannetti

 

Nell’ambito della campagna mondiale lanciata dal P.H.M. (People Health Movement) per la tutela della salute dei popoli si è tenuto lo scorso 27 aprile, presso l’aula Magna della Facoltà di Medicina e Chirurgia di Bari, il convegno “Salute per tutti: un obiettivo possibile“, promosso dal Forum difesa salute, Avvocati senza Frontiere, Osservatorio italiano salute globale, Legambiente, ISDE, Nursing in movimento, AIFO, Associazione Italiana Esposti Amianto, CGIL medici Lombardia, CISDA, Emergency, Medicina Democratica, Patto mondiale per l’acqua, Senza Limiti e altre associazioni ed enti, tra cui l’Agenzia sanitaria della Regione Puglia.

La campagna di P.H.M., nata a seguito della conferenza di Alma Ata, organizzata dall’ONU, sul tema della cosiddetta medicina primaria, si prefigge di costituire un OSSERVATORIO  NAZIONALE SUL DIRITTO ALLA SALUTE, onde monitorare il rispetto delle convenzioni internazionali e dei diritti delle fasce più deboli, a rischio di esclusione: anziani soli sopra i 65 anni, famiglie sotto il livello di povertà secondo l’ISTAT,  immigrati, famiglie a basso reddito con congiunti affetti da malattie croniche e/o invalidanti.

Gli obiettivi dell’iniziativa, oltre a monitorare gli andamenti epidemiologici delle fasce a rischio di esclusione dal diritto alla salute, sono quelli di riuscire a diffondere relazioni periodiche e denunce al parlamento, alla stampa e ai cittadini, garantire l’accesso all’informazione e alla formazione delle decisioni, da parte delle forze interessate, nonché promuovere il diritto alla salute per tutti.

L’instaurando osservatorio dovrebbe in buona sostanza rappresentare un primo passo verso la fondazione di una istituzione nazionale indipendente, in grado di monitorare non soltanto l’efficacia dell’assistenza sanitaria, ma anche le possibilità di fruizione dei determinanti della salute, con particolare riferimento all’ambiente, al lavoro, alle discriminazioni sociali, etniche, di genere, fondando e mantenendo viva una coscienza critica sulle condizioni di salute delle popolazioni.

L’intervento conclusivo dei lavori del convegno, a cui hanno partecipato autorità locali e nazionali, è stato affidato alla relazione di Avvocati senza Frontiere, di cui di seguito pubblichiamo il testo integrale.

SALUTE E DIRITTI UMANI: UN’ENDIADI NECESSARIA.

Verso un osservatorio permanente sulle violazioni dei diritti umani nel campo della salute. Gli obblighi violati da parte dello Stato Italiano.

Parlare al termine di un Convegno dove mi hanno preceduto insigni specialisti della materia, alte cariche del Governo locale e nazionale, illustri personalità accademiche e politiche, nonché vari esponenti del mondo del Volontariato, non è impresa facile, ma cercherò, pur non potendo fare a meno di ripetere taluni concetti ormai già noti, di caratterizzare il mio intervento alla luce del Commento Generale 14 delle Nazioni Unite (diritto al più alto standard di salute raggiungibile), in un’ottica riepilogativa e propositiva di ciò a cui l’iniziativa di PHM si propone di dare vita, attraverso il Governo e le Autorità dello Stato Italiano, in ottemperanza agli impegni assunti ad Alma Ata: cioè un Osservatorio permanente sulle violazioni dei diritti umani nel campo della salute nel nostro Paese.

L’Associazione da me rappresentata, la quale si batte da oltre 20 anni per il rispetto della legalità e dei diritti dei soggetti più deboli, ha accettato di buon grado l’invito  di PHM di partecipare a questo importante convegno, in quanto i due termini “salute e diritti umani” rappresentano un concetto inscindibile che racchiude la globalità delle problematiche relative alla piena attuazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, pronunciata quasi 60 fa dai Paesi membri delle Nazioni Unite, dove la salute costituisce un diritto senza il quale gli altri diritti non hanno motivo di esistere – né possono in concreto esistere (se non come mere enunciazioni sulla carta).

Di fronte alla condizione di povertà estrema, denutrizione, sottosviluppo, diffusione di malattie epidemiche, endemiche, occupazionali, etc., in cui versa la maggior parte dell’umanità, quanto infatti stupisce e dovrebbe smuovere le coscienze dei governanti e dei governati è che il diritto alla salute, seppure virtualmente riconosciuto in una miriade di Convenzioni, poste a base degli statuti normativi che dovrebbero regolare i rapporti tra le nazioni del mondo e tra i singoli Stati e la popolazione residente e non residente delle relative comunità, sia rimasto di fatto pressoché inattuato di pari passo con gli altri paralleli diritti enunciati dai molteplici Patti e Convenzioni Internazionali in cui viene ipocritamente consacrato; tanto da fare supporre che più aumentano le verbose proclamazioni di fondamentali libertà da parte degli Stati più si allontanano i diritti. Solo per citarne alcune: Dichiarazione Universale Diritti dell’Uomo (1948), Costituzione O.M.S., Convenzione Europea per i diritti dell’Uomo (1950) e relativi Protocolli Addizionali, Carta Sociale Europea (1961), Dichiarazione di Vienna e Programma di azione (1993), Carta Africana sui Diritti Umani e dei Popoli (1981), Patto Internazionale sui Diritti Economici, sociali e culturali (1966), Convenzione Internazionale per l’Eliminazione (scritto con la E maiuscola) di ogni forma di Discriminazione Razziale (1965), Convenzione per i Diritti del Bambino (1989), Convenzione per l’Eliminazione della Discriminazione verso le Donne (sempre con la E maiuscola), Protocollo addizionale Convenzione Americana sui Diritti Economici, Sociali e Culturali (1988), Carta di Ottawa (1986), etc…

Delle due l’una: o, la periodica enunciazione dei Diritti dell’Uomo da ben 60 anni a questa parte è fumo negli occhi per rendere accettabile l’inaccettabile e fornire un alibi alle politiche liberticide dei Governi delle Nazioni del Mondo o, è seria volontà politica e, in questo caso, bisogna semplicemente individuare gli ostacoli che an
cora si frappongono e il percorso per addivenire alla piena realizzazione degli enunciati diritti umani violati. Se nell’arco degli ultimi 50 anni siamo stati in grado di conquistare la luna e raggiungere pianeti lontani milioni di anni luce, avremmo, ragionevolmente, potuto anche essere in grado di realizzare pienamente il diritto alla salute, ovvero di conquistare il rispetto di tutti gli altri diritti e libertà fondamentali dell’Uomo. Ciò non di meno possiamo farlo ora attivando le persone di buona volontà sia nel mondo delle istituzioni sia nella società civile, onde dare vita ad un Osservatorio permanente sulle violazioni dei diritti umani nel campo della salute, a partire dal nostro Paese.    

In particolar modo, la Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali ci fornisce un punto di partenza e l’articolazione più completa sul diritto alla salute nella legislazione internazionale vigente sui diritti umani.

L’articolo 12 della Convenzione riconosce infatti: il diritto di ognuno al godimento dello standard di salute fisica e mentale più elevato che possa essere raggiunto“.

Il diritto alla salute si fonda quindi non solo su cure appropriate e tempestive, ma si estende anche ai <determinanti> che stanno alla base della salute, ossia l’accesso all’acqua potabile, adeguate misure igieniche, un adeguato apporto di cibo sano, nutrizione ed abitazione, condizioni di lavoro e ambientali sicure, accesso alla informazione e all’educazione correlata alla salute, inclusa la salute sessuale e riproduttiva. Tutti diritti viaggianti in parallelo che non sono semplice corollario alla salute, bensì condizione pregiuridica ed imprescindibile dal diritto alla salute.

Il concetto di salute secondo la definizione data dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) – e, secondo quanto precisato nella Carta di Ottawa – implica il “conseguimento di uno stato di completo benessere fisico dell’individuo sia mentale che sociale“. In altre parole, l’individuo o il gruppo sociale di appartenenza devono essere in grado di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di modificare l’ambiente o adattarvisi: purtroppo, nel mondo reale lacerato dal divario tra nord e sud, fame, siccità, disastro ambientale, epidemie, embarghi, conflitti bellici, in cui tutti siamo nostro malgrado immersi, solo mere enunciazioni ben lontane dalle politiche dei governi e dagli interessi dei “poteri forti economico-finanziari globali” che reggono le sorti dell’umanità su principi e valori diametralmente opposti, all’insegna del profitto senza regole e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.  

In “Dove si nasconde la salute” di Hans-Georg Gadamer “la salute non è precisamente un sentirsi ma un esserci, un essere nel mondo, un essere insieme agli altri uomini ed essere occupati attivamente e gioiosamente dai compiti particolari della vita[1]“.

Dunque, una dimensione olistica dell’esistenza implicante valori di solidarietà e rispetto verso i propri simili e l’ambiente che ci circonda. Una visione del mondo quindi lontana anni luce da quella predominante che annichilisce in radice i diritti dell’Uomo, rendendo lettera morta ogni buon proposito ed enunciazione di principio.

Noi oggi siamo comunque qui per fare il punto sulla situazione del diritto alla salute, sulla necessità cogente di adottare provvedimenti alla luce delle convenzioni internazionali vigenti; siamo qui per capire se e in cosa un osservatorio permanente possa essere elemento necessario per la realizzazione del diritto alla salute.

Per realizzare questo tipo di analisi non si può prescindere dalla definizione di salute. Le diverse accezioni del termine configurano, infatti, diversi scenari. Da quello tradizionale di “assenza di malattia”, legato alla millenaria – ed ormai obsoleta – concezione della professione medica, fino all’acquisizione di una concezione che, grazie all’evoluzione storica della sanità sottolinea l’esigenza di curare le persone e non solo le malattie. L’uomo non è un’entità organica autosatisfattiva,  la sua vita è irrimediabilmente intrecciata con l’ambiente in cui vive, che lo condiziona nel binomio mente-corpo. Secondo la citata definizione di salute data dall’OMS la salute viene considerata un diritto che come tale si pone alla base di tutti gli altri diritti fondamentali. La salute viene insomma considerata <più un mezzo che un fine>, concetto dinamico che rappresenta il risultato di una serie di determinanti di tipo sociale, ambientale, economico e genetico e non il semplice prodotto di un’organizzazione sanitaria.

La promozione della salute non è perciò responsabilità esclusiva del settore sanitario, in quanto, i requisiti per la sua realizzazione sono visti in una luce intersettoriale che amplia l’esigenza di intervento dei governi. Le condizioni fondamentali per la salute sono considerate: la pace, il cibo, la casa, un lavoro, il reddito, un ecosistema stabile ed equilibrato, la continuità delle risorse, la giustizia e l’equità sociale.

La Carta di Ottawa indica la necessità di ridurre le differenze evidenti nell’attuale stratificazione sociale della salute, offrendo a tutti uguali opportunità e risorse per conseguire il massimo potenziale di salute.

Il diritto alla salute, in tutte le sue forme e livelli, contiene i seguenti elementi essenziali:

1)      Disponibilità: ogni Stato deve garantire sufficienti servizi e strutture sanitarie, comprese  adeguate misure igieniche, ospedali, cliniche, personale professionale addestrato e farmaci essenziali.

2)      Accessibilità: l’accesso alle strutture sanitarie deve essere garantito a chiunque, senza discriminazione di nessun tipo. Gli eventuali pagamenti delle cure sanitarie devono basarsi sul principio dell’equità, assicurando che i servizi, siano essi pubblici o privati, siano acquisibili anche ai gruppi socialmente ed economicamente svantaggiati. 3)      Accettabilità: ogni struttura sanitaria deve essere rispettosa dell’etica medica e deve essere studiata per migliorare la salute di persone sofferenti.

4)      Qualità:  le strutture sanitarie devono essere scientificamente appropriate e di buona qualità, ciò richiede la dotazione di personale medico qualificato, farmaci scientificamente approvati e non scaduti, equipaggiamento medico ed adeguate misure igieniche.

Si possono elencare una serie di esempi che contribuiscono alla definizione del diritto alla salute. Essi sono: il diritto alla salute della madre, del bambino e la salute riproduttiva (assistenza pre e post natale); il diritto ad un ambiente di vita e di lavoro sano (misure preventive nei confronti delle malattie professionali e degli infortuni); il diritto alla prevenzione, al trattamento e al controllo delle malattie (programmi di prevenzione ed educazione sanitaria per le malattie che si trasmettono sessualmente come HIV e AIDS); il diritto a strutture sanitarie che assicurino a tutti servizi medici e cure in caso di malattia.

Come è facilmente intuibile tutto questo ha dei costi in termini sociali, economici, politici. Decidere il mantenimento di una soglia minima di tutela medica in una sanità privatizzata può  significare rubare appetibili fette di mercato alle strutture private, decidere di rispettare un’etica medica significa rendere il paziente edotto delle sue condizioni cliniche in maniera approfondita e rallentare le routine burocratiche ospedaliere, decidere di non consentire l’emissione di fumi a una fabbrica può significare  cambiare un piano regolatore.

Ecco che quello che sulla carta astrattamente non fa una piega se messo in contrapposizione dialettica con portatori di altri, speculari, interessi diffusi assume un altro aspetto e necessita di altri strumenti.

Chi ha il diritto-dovere di tramutare previsioni astratte in regole valevoli per tutti? Chi ha il diritto-dovere di scegliere? 

Va preliminarmente detto che ogni Stato firmatario della Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali si è impegnato al perseguimento degli obblighi principali sopra enunciati. 

Essi possono riassumersi in obblighi di rispetto, di protezione e di adempimento.

L’obbligo di rispetto implica per lo Stato l’astenersi dal negare o limitare a tutte le persone (inclusi i prigionieri, i detenuti o le minoranze) un uguale accesso ai servizi di prevenzione e cura; astenersi dal limitare l’accesso ai contraccettivi; astenersi dall’inquinare l’aria, l’acqua o il suolo senza alcuna regola.

L’obbligo di protezione include l’adozione di una legislazione che assicuri uguale accesso alle cure e ai servizi correlati; che la privatizzazione non costituisca una minaccia alla accessibilità e alla qualità delle strutture sanitarie; che il personale medico e gli altri professionisti abbiano una adeguata preparazione, possano acquisire abilità professionale e abbiano un codice deontologico ed etico.

L’obbligo di adempimento implica il riconoscimento del diritto alla salute nelle politiche nazionali ed internazionali, nel sistema legale attraverso l’adozione di leggi specifiche, e l’adozione di piani dettagliati di assistenza sanitaria, di vaccinazione, di formazione del personale medico, etc. E’ inoltre necessario assicurare e promuovere la ricerca medica e l’educazione sanitaria con il lancio di campagne di informazione.

Ogni Stato firmatario della Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali si è impegnato al perseguimento degli obblighi principali sopra enumerati.

Tali obblighi sono tutti considerati come inderogabili.

Una volta analizzati gli obblighi la convenzione passa a indicare le violazioni.

Si  hanno violazioni per mezzo di un’azione quando lo Stato o un’altra entità adotti misure che ostacolino l’adempimento delle obbligazioni principali: il rigetto dell’adozione di leggi necessarie per il godimento al diritto alla salute o l’adozione di leggi che siano incompatibili cogli obblighi preesistenti. Si pensi, ad esempio, all’introduzione di una sostanza altamente tossica nell’elenco consentito dal Ministero dell’Ambiente o all’innalzamento dei limiti di tollerabilità delle emissioni nocive. Le violazioni possono manifestarsi anche per mezzo di un non fare ovvero un’omissione: la mancata adozione di politiche nazionali sulla sicurezza e l’igiene. O ad esempio l’insufficiente allocazione o il cattivo impiego delle risorse, la mancata adozione di misure contro la discriminazione, il mancato monitoraggio della realizzazione del diritto alla salute, l’inerzia nell’emanazione di leggi e regolamenti per la sicurezza sui luoghi di lavoro.

L’analisi tracciata finora ha parlato del contenuto dei diritti e degli obblighi ma siamo sicuri che questo sia sufficiente? In altre parole analizzato il diritto nella sua orizzontalità, in capo a chi si colloca il diritto alla salute, come ritagliare gli spazi della applicazione soggettiva ovvero della  verticalità? 

Parliamoci chiaro. La necessità dell’endiadi diritti umani-salute non è per nulla scontata. Essa chiama in causa i sans phrase, quelli che non godono delle coperture costituzionali offerte a chi è cittadino, quelli che oltre il danno subiscono  un giudizio di riprovevolezza morale (detenuti), quelli che non hanno la capacità giuridica per difendersi (i bambini) o quelli che, trovandosi in situazioni di carattere emergenziale-poliziesco (immigrati) non sanno neppure di avere un diritto.

Si pensi ai detenuti. L’emergenza sanitaria in carcere conta oggi circa 6.500 detenuti sieropositivi, 5.500 con gravi disturbi mentali, disagi gravissimi, morti per overdose, mancanza di assistenza adeguata. La possibilità di fruire delle cure esterne al carcere è indissolubilmente legata all’accertamento della  gravità della malattia e il diritto alla salute del detenuto si scontra con le esigenze della difesa della collettività.

Si pensi ai bambini. Ormai il mondo degli adulti con una marea di teoria, di scritti, di parole, d’interventi sta cercando di conquistare il mondo bambino, considerandolo principalmente un’immensa fonte di profitto, ed avendo capito che il condizionamento di questa “potente” fascia d’età è un ottimo strumento di controllo per garantirsi un totale appiattimento di bisogni di creatività, di socialità, di confronto, di voglia nel mettersi in gioco per contare e vivere il proprio presente. Alla luce di queste tendenze e con la massima attenzione andrebbero monitorati i n
uovi fenomeni di contenimento della vitalità dei bambini tramite la prescrizione di veri e propri psicofarmaci.

Si pensi agli immigrati. Il loro diritto alla salute è subordinato al loro status giuridico, alcuni di loro hanno ricevuto il decreto di espulsione, pur essendo in pieno  decorso post-operatorio. L’OMS denuncia che le misure di contenimento della spesa pubblica e di aziendalizzazione dei sistemi sanitari pubblici stanno portando all’esclusione dall’accesso ai servizi proprio delle persone più vulnerabili, come i sans papier, la popolazione a più alto rischio e le malattie a più alto costo.

Si pensi all’organizzazione del lavoro. Le politiche di contenimento della spesa colpiscono i diritti e la dignità del lavoro e la qualità assistenziale attraverso l’esternalizzazione ai ribasso del costo di servizi importanti come mense, pulizie, assistenza, e scaricano sulle famiglie, cioè sul reddito familiare e sul lavoro di riproduzione sociale gratuitamente assolto dalle donne, carichi crescenti e insopportabili.

Nuove forme di esclusione dal diritto alla salute sono poi legate all’area geografica. Nascere in un determinato Paese è in sé  fattore di mortalità. Si pensi   all’aumento dei costi diretti per l’acquisto dei farmaci (la Novartis in India) e dei servizi, alla mancanza di acqua potabile, all’assenza per chilometri e chilometri di un centro medico. E allora, che fare?

Il ripristinarsi dell’equilibrio violato passa inevitabilmente attraverso la giuridicizzazione.

La giurisprudenza recente ha enucleato le interrelazioni del diritto alla salute con altri diritti fondamentali, il diritto del lavoro (l’utilizzo dell’amianto nei luoghi di lavoro), il diritto dei familiari (danno morale da morte di prossimo congiunto), il diritto all’autodeterminazione del paziente (rifiuto di accanimento terapeutico). Molte sentenze hanno confermato che la natura di diritto fondamentale alla salute è  in grado di comprimere persino l’operato della P.A,,  riconoscendo che il consenso informato  ha spostato il potere di decisione del medico al paziente e che sussiste un diritto d’accesso alle informazioni in materia ambientale da parte di chiunque, anche se non portatore di un interesse specifico.

La giurisprudenza ci ha messo in guardia  sulla dolosa confusione terminologica (ad esempio sul concetto di “rifiuto“, sulla differenza tra “potabilità” e “non nocività“, sulla densità del centro abitato da cui va mantenuta la distanza di sicurezza).

Ma deve essere altresì ormai chiaro che la giuridicizzazione da sola non è in grado di ripristinare l’equilibrio violato del diritto alla salute e degli altri connessi paralleli diritti, in quanto il potere giudiziario non è infallibile e immune da interessi estranei alle sue alte funzioni istituzionali, come taluni vorrebbero in malafede far credere per difendere lo status quo, posto che soggiace alle stesse perverse logiche del potere politico e delle altre categorie professionali, ivi compresa quella forense.

Che fare ad esempio quando un Ente Pubblico in posizione dominante non ottempera ad una sentenza del Giudice o, quando è lo stesso Stato a resistere alle decisioni della Corte Europea per i diritti dell’Uomo?

Che fare quando è lo stesso rappresentante della Pubblica Accusa che non ottempera ai suoi alti doveri istituzionali, omettendo di esercitare l’azione penale nei confronti di amministratori pubblici,  istituzioni sanitarie, baroni universitari, medici, politici, avvocati, notai, imprenditori di regime, funzionari infedeli dello Stato, magistrati corrotti… ?

Che fare quando i supremi organi di controllo, quali la Procura Generale, il C.S.M., il Ministro di Giustizia, la Prefettura e financo le Forze dell’Ordine non intervengono per fare rispettare un diritto, impedire una forma di discriminazione, evitare un abuso, un ricovero coatto, una violenza su persone deboli e indifese?

I casi che potrei citare, anche per esperienze direttamente vissute, sono innumerevoli: un’invalida 92enne, affetta da Alzhaimer, sfrattata con procedure illegittime, seppure fosse stata dichiarata intrasportabile (Treviso); un anziano legato a forza alla barella con le bombole di ossigeno perché non voleva rilasciare la sua abitazione caduta nelle voraci mani della c.d. “compagnia della morte” che controlla le vendite giudiziarie  (Milano); altri anziani ultraottantenni vittime dell’usura di banche e strozzini, gettati in mezzo alla strada da giudici compiacenti per consentire profittevoli speculazioni edilizie (Pordenone, Torino, Milano, Firenze, Genova, Roma, Napoli, Catanzaro…).

Di casi analoghi si potrebbero tappezzare le intere pareti di ogni tribunale italiano…

Per eventuali approfondimenti Vi rimando alle pagine web della mappa della malagiustizia in Italia, rilevabili dai siti:

http://www.avvocatisenzafrontiere.it/ e https://www.lavocedirobinhood.it/         

Che fare allora affinché chi è già prigioniero della sofferenza della malattia non diventi anche prigioniero dell’ingiustizia, come nel caso di Giovanni Grignano di Sondrio che, dopo venti anni di calvario giudiziario, pur avendo ottenuto la condanna dello Stato Italiano per violazione dell’art. 6 della Convenzione Europea per i diritti dell’Uomo, è morto senza ricevere giustizia, aggirandosi per i tribunali italiani, fino all’ultimo giorno, con la bombola di ossigeno per respirare quell’aria di verità e uguaglianza di fronte alla legge che tutti noi cerchiamo?

Pensate alle 351 vittime della malasanità e della malagiustizia italiana, di cui un gruppo si è recentemente rivolto ad Avvocati senza Frontiere, che hanno contratto l’Aids o l’epatite B o C, dopo una trasfusione, i quali pur essendo in taluni casi deceduti, non sono ancora riusciti ad ottenere il dovuto indennizzo dal Ministero della Sanità, neppure attraverso gli eredi! Ciò seppure sia stata pronunciata una sentenza definitiva del Tribunale di Roma nel lontano 2001, che stabilisce il diritto al risarcimento integrale dei danni, indipendentemente dal momento di contrazione del virus. La somma del risarcimento è scandalosamente ancora da stabilire e andrà ad aggiungersi all’indennizzo stabilito dalla legge 210 del ’92 e 238 del ’97, che attribuisce l’irrisoria somma di appena 1 milione di lire al mese per gli emofiliaci che hanno contratto il virus dell’Aids e 150 milioni per gli eredi delle persone infettate decedute. Tale vergognosa sentenza rappresenta l'”atto finale” di una vicenda che va avanti dal 1993, anno in cui le denunce dei 351 malcapitati (trasformati da semplici pazienti in emofiliaci) hanno causato all’Italia una penale di ben 24 miliardi di lire, sancita dalla Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo. All’accusa dei 351, si è poi aggiunta nel ’98 quella di altre 400 persone che avevano presentato ricorso 5 anni prima. Il ricorso era dovuto al rimborso ritenuto irrisorio di 150 milioni stabilito dalla legge del ’92, ma il Ministero della Sanità impugnò la decisone e la Corte d’appello civile ne riconobbe la responsabilità con dei limiti temporali, dato che i test immunologici sul sangue da trasfusione erano stati introdotti in epoche differenti (nel 1978 per l’epatite B, nel 1985 per l’Hiv e nel 1988 per l’epatite C). Una vera e propria truffa legalizzata che non ha ancora trovato un’equa riparazione – e, forse, mai la troverà al pari di tante altre centinaia di migliaia di casi meno noti non assurti alle cronache dei media. Infatti, nel frattempo, il decorso della malattia ha causato la morte di 300 persone: 100 dei 351 soggetti che hanno intentato causa e 200 dei 400 che fecero causa nel 1993. Con 45 pagine di sentenza, il Tribunale civile di Roma ha quindi riconosciuto come responsabile del sangue infetto il Ministero della Sanità, senza però indicare la misura del risarcimento demandata “sine die” a separato giudizio. La Corte di Cassazione  ha ritenuto che: “la responsabilità del ministero trovasse il suo fondamento in un comportamento omissivo e cioè nell’inosservanza colposa dei suoi doveri istituzionali di sorveglianza, di direttive e di autorizzazione in materia di produzione e commercializzazione del sangue umano ed emoderivati, che prescinde del tutto da eventuali profili ascrivibili ad altri enti nella loro attività di effettiva distribuzione e somministrazione dei prodotti”. Ma ciò nonostante i risarcimenti tardano a venire pagati, speculando sulla mirata lentezza di una giustizia di parte, che seppure enunci a parole il diritto delle vittime a venire indennizzate, nei fatti si guarda bene dal riconoscerli in concreto. Diversamente, in Francia, seppure la giustizia non abbondi, quando sempre negli anni ’90 emerse lo scandalo del sangue infetto, la magistratura francese portò sul banco degli imputati e regolarmente condannò i responsabili ministeriali: tre ex ministri socialisti, tra cui Laurent Fabius, presidente dell’Assemblea nazionale, che fu capo del governo tra l’84 e l’86. In Italia, al contrario, se non erro, sono ancora aperte le istanze contro 27 indagati, tra i quali l’ex componente del Consiglio Superiore di Sanità Dulio Poggiolini e gli industriali Guelfo e Paolo Marcucci, per il reato di epidemia colposa. I 27 avrebbero collaborato per introdurre in Italia plasma non testato proveniente da altri Paesi, destinato a trasfusioni e produzione di farmaci emoderivati. Le indagini hanno inizio nel 1995, ad opera del P.M. Carlo Palermo, con il sequestro della Guardia di Finanza di numerosi litri di sangue nei magazzini generali di Padova. Marcucci e Poggiolini, inoltre, sono accusati di esportazione di emoderivati ricavati da plasma non testato verso Paesi terzi, Egitto, Israele, Svizzera, India, Romania, Taiwan, Turchia, Tunisia e altri. (Vedasi nota in calce sugli sviluppi dei processi conclusisi 23 anni dopo con i soliti verdetti all’italiana). 

A questo punto, una breve riflessione va poi svolta sui dati di “errore medico” in Italia che sono impressionanti, così come l’impunità che ne consegue: il 4% dei circa 8 milioni di italiani ricoverati in 12 mesi negli ospedali della penisola sperimentano errori in corsia

 “Sviste” che causano in un anno  la morte di almeno 14mila pazienti.

Le cause sono in aumento esponenziale, i dati parlano di un + 184% nell’ultimo decennio (dalle 8.000 denunce del 1994 alle 14.000 denunce del 2005). Durano in media tre anni ma ce ne vogliono 5 per avere una sentenza .

Secondo l’Ania (Associazione che rappresenta le imprese assicurative che coprono la responsabilità civile del sanitario)  un processo costa, in media, alla P.A. circa 26.000 Euro. Vengono fatte ogni anno 12.000 denunce all’Ania. Si calcolano aumenti dei premi assicurativi del 600 % dal 1995 al 2004. Un ginecologo o un neurochirurgo possono arrivare a pagare 5/10.000 Euro all’anno per l’assicurazione professionale.

Una causa posta in essere da chi sostiene di avere subito un errore medico e soccomba in giudizio costa tra gli 8.000 e i 10.000 Euro… per cui nella maggior parte dei casi le vittime si astengono dall’adire l’Autorità Giudiziaria e quando lo fanno spesso vengono risucchiati in un vortice di lentezze, ulteriori omissioni, ambiguità, omertà da parte dei giudici che cercano in tutti i modi di coprire i reati della corporazione medica a cui non di rado sono affiliati da oscuri vincoli solidaristici, associativi, politici e affaristici. Ne sa qualcosa il figlio del povero Sig. Di Tommaso, morto due volte, prima per l’incuria dei medici eppoi per la complicità di tutti coloro che sinora ne hanno coperto colpevolmente le responsabilità: magistrati, periti e avvocati che gli hanno impedito di accertare le responsabilità dei sanitari del S. Camillo di Roma, dove era stato ricoverato per una semplice intervento alla “fistola uretro cutanea” per una sepsi urinaria (il caso è segnalato nella mappa della malagisutizia del Lazio sul sito http://www.avvocatisenzafrontiere.it/ ).

Alla luce di questo mosaico sorge evidente l’importanza dell’istituendo Osservatorio, il quale potrà diventare uno strumento centrale per ripristinare l’equilibrio violato del diritto alla salute, alla giustizia e agli altri diritti negati, mettendo in grado tutti gli attori sociali, nessuno escluso, di cooperare in un spirito solidaristico, per la piena realizzazione del diritto di ogni cittadino al godimento dello standard di salute fisica e mentale più elevato che possa essere raggiunto, mettendo da parte le logiche di lobby, corporativismi e interessi estranei alla sfera della concreta attuazione dei diritti sanciti nelle Convenzioni Internazionali e nella Costituzione Italiana.     

Si deve comunque ritenere che le misure più appropriate per assicurare il diritto alla salute variano da Stato a Stato. Ogni Stato ha l’obbligo di verificare quali siano le misure migliori da adottare in base alle specifiche circostanze. L’adozione di una strategia nazionale si basa su precise politiche e sull’identificazione delle risorse disponibili per il raggiungimento degli obiettivi. Ciò implica l’adozione di una Legge Quadro che renda operativa la strategia nazionale e che comprenda i meccanismi per monitorare l’applicazione dei piani di azione. Deve perciò includere la previsione degli obiettivi da raggiungere e il lasso di tempo in cui si prevede di raggiungerli; i mezzi attraverso i quali si vogliono raggiungere e le responsabilità istituzionali legate alla realizzazione della strategia nazionale.

Secondo il Commento Generale 14 delle Nazioni Unite: “ogni persona o gruppo di vittime di una violazione del diritto alla salute deve avere accesso ad un giusto processo od analoghi rimedi efficaci sia a livello nazionale che internazionale; …è titolare del diritto ad un adeguato risarcimento che può prendere la forma di restituzione, compensazione, soddisfazione o garanzie di non ripetizione”. Altresì è assegnato un importante compito di rilevazione e verifica delle violazioni del diritto alla salute in capo ai difensori degli utenti, alle commissioni sui diritti umani, ai forum dei consumatori, alle associazioni per i diritti dei pazienti o istituzioni simili. Il commento in esame aggiunge infine, contrariamente a quanto accade nella realtà,  che: “i giudici e i membri delle professioni legali devono essere incoraggiati dagli Stati firmatari a prestare maggiore attenzione alle violazioni del diritto alla salute nell’esercizio delle loro funzioni“. Concludendo poi, allo stato, ancora, inascoltatamente, che: gli Stati firmatari, tra cui l’Italia, “debbono rispettare, proteggere, facilitare e promuovere il lavoro dei difensori dei diritti umani e degli altri membri della società civile che abbiano lo scopo di assistere i gruppi vulnerabili o marginalizzati nella realizzazione del loro diritto alla salute“.

Proprio in quest’ottica assume rilevante centralità la costituzione di un osservatorio permanente, aperto alla società civile e alle Associazioni, il cui compito è quello di monitorare il rispetto di tali diritti e redigere annualmente un rapporto da sottoporre alle autorità locali, nazionali e internazionali. In tal modo potrà essere garantito il rispetto del diritto alla salute a livello internazionale, regionale e locale.

Le funzioni, gli ambiti di intervento, i poteri esecutivi e le finalità che possono essere attribuite all’Osservatorio sono molteplici e meritano un approfondimento che non può essere trattato in una breve relazione. Si possono tuttavia fare alcuni esempi:

  1. Raccolta di dati scientifici-statistici super-partes  (in caso di confliggenza ricostruttiva). La scorsa settimana ad esempio sono stati diffusi sui media nazionali  dei dati sull’errore medico in Italia. Il dato di fatto è che le statistiche sono state respinte al mittente per la mancanza di una banca dati a livello nazionale che potesse smentire o confermare  i dati diffusi. Questo non può e non deve succedere, l’assenza  di una  banca dati ufficiale apre la strada alla delegittimazione delle denunce, vanifica  il lavoro degli attori sociali, inibisce il ripristinarsi del diritto violato.
  2. Verifica dell’adempimento degli obblighi sottoscritti dagli Stati Nazionali: “le Strategie nazionali sulla salute debbono identificare appropriati indicatori e riferimenti di eccellenza. Gli indicatori debbono essere studiati per monitorare, a livello nazionale e internazionale, gli obblighi per gli stati firmatari che discendono dall’art. 12 della Convenzione. Gli Stati possono ottenere suggerimenti sugli indicatori appropriati. Gli stati firmatari debbono rispettare, proteggere, facilitare e promuovere il lavoro dei difensori dei diritti umani e degli altri membri della società civile” (dal Commento Generale 14).
  3. Localizzazione delle esigenze e arbitraggio costo-beneficio: Secondo il dettato della Convenzione, le misure più appropriate per assicurare il diritto alla salute variano da Stato a Stato. Ogni Stato ha l’obbligo di verificare quali siano le misure migliori da adottare in base alle specifiche circostanze. L’adozione di una strategia nazionale si basa su precise politiche e sull’identificazione delle risorse disponibili per il raggiungimento degli obiettivi. Perché ciò non  venga sterilizzato da motivi di contenimento della spesa, devono perciò essere incluse  la previsione degli obiettivi da raggiungere, il lasso di tempo in cui si prevede di raggiungerli e i mezzi attraverso i quali si vogliono raggiungere tali obiettivi.
  4. “Reductio ad unum” delle violazioni. Come dicevamo prima, chiunque possa essere vittima di una violazione del diritto alla salute (persona o gruppo di persone), deve poter avere accesso ad un giusto procedimento giudiziario o rimedi analoghi, a livello sia nazionale che internazionale. L’Osservatorio, attraverso la redazione annuale di un rapporto da sottoporre alle autorità locali,  nazionali e sovranazionali e la partecipazione di rappresentanti della società civile potrà rivelarsi uno strumento formidabile e superpartes  per  garantire il  rispetto del diritto alla salute a livello internazionale, regionale e locale. L’incorporazione di strumenti internazionali all’interno del sistema legale nazionale autorizza i giudici a procedere nei casi di violazione dei diritti alla salute con riferimento diretto alla Convenzione Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali.
  5. Potere di avviare indagini penali e costituire commissioni superpartes di saggi ad hoc non compromessi con il potere politico e giudiziario; la finalità è evidentemente quella di supplire ai vuoti di interventi in ambito istituzionale che abbiamo testé segnalato.
  6. Diritto-Dovere di informare periodicamente i cittadini, pubblicando i dati raccolti sui quotdiani locali, ciò per supplire all’eventuale carenza dei media, per lo più controllati dai quei gruppi di potere che controllano l’economia e la politica e che rappresentano il maggiore ostacolo alla piena realizzazione dei diritti umani.

Infine, la nascita di un Osservatorio è necessario: all’Italia e alla classe politica per adempiere agli obblighi sottoscritti; ai cittadini per affermare in concreto il principio di uguaglianza di fronte alla legge; ai giudici per verificare la sussistenza delle violazioni in termini temporalmente e ragionevolemente certi, dimostrando in tal modo la loro indipendenza da qualsiasi potere esterno;  ai medici e agli operatori sociali che svolgono con scienza e coscienza il proprio lavoro per fugare pretestuose banalizzazioni; alle persone sans phrase perché la salute è un diritto senza il quale altri diritti non hanno motivo di esistere.

Nota: Negli ultimi anni gli avvocati di Paolo Marcucci e degli eredi di Guelfo Marcucci hanno più volte ribadito l’estraneità dell’anziano fondatore del Gruppo allo scandalo del sangue infetto, sottolineando sia intervenuta una duplice dichiarazione di non luogo a procedere dal parte del GUP di Trento, Giorgio Flaim,  per l’accusa di epidemia dolosa, perché il fatto non sussiste – e, poi, in dibattimento, da parte del Tribunale di Trento (Presidente Pascucci), in relazione all’accusa di epidemia colposa, per aver cagionato per motivi di lucro, la diffusione dei virus HIV, HCV, HBV in Italia e all’estero, che provocava secondo dati epidemiologici parziali dell’Istituto Superiore di Sanità n. 409 decessi per AIDS, n. 924 infettati da HIV, n. 2142 da HCV e altre numerose vittime. Astenendoci dal commentare tali sentenze a cui l’opinione pubblica italiana è da decenni abituata, ci limitiamo a pubblicare spontaneamente la seguente integrazione, in base all’art. 147 d.lgs. n. 196/2003, dietro richiesta dei legali della famiglia Marcucci, inviandone copia al Garante della Privacy, precisando che a Napoli, un terzo filone del processo, a seguito di rimessione per competenza territoriale, ha visto dapprima  man mano degradare il capo di accusa da “strage” ad “epidemia colposa”, ed infine a mero “omicidio colposo plurimo aggravato”, concludendosi a distanza di quasi 40 anni dalle prime indagini del coraggioso P.M. di Trento, con l’assoluzione tombale di tutti gli imputati. Ma Guelfo Marcucci è uscito prima da questo processo per sopravvenuta morte.

Per saperne di più:

http://espresso.repubblica.it/inchieste/2016/12/26/news/quella-vergogna-del-sangue-infetto-1.292176

STRAGE DEL SANGUE INFETTO / MOLTI SAPEVANO E HANNO TACIUTO. FIN DA QUEL  LONTANO 1977

A cura di:

Laura Trovati, Dafne Anastasi e Pietro Palau Giovannetti


[1] Hans-Georg Gadamer, Dove si nasconde la salute, Raffaello Cortina Editore, Milano 1994, p.122.

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