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I SOFISMI DELLA CENSURA

mercoledì 18th, Aprile 2007 / 14:05 Written by
in Saggi

La censura è l’emblema di un paradosso, la sua forza pervasiva non è nel cosa ma nel quando: la si scopre solo a danno avvenuto e il suo accertamento non può prescindere dal ripristinarsi dell’ equilibrio verità/vuoto. La sua capacità mimetica è assimilabile ad un camaleonte che si insinua negli spazi sociali ove maggiore e più concentrata  è la contrapposizione tra interessi paralleli eppur confliggenti. 
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La storia è stata attraversata da vari momenti di Medioevo informativo ma si fa strada sempre più e sempre più mimetizzata la forma più grave di censura: l’autocensura. Chi sa tace. L’alibi omissivo può essere la paura di perdere un lavoro, di frenare bruscamente una carriera, di giocarsi tutto in un sol colpo in nome di un astratto diritto alla verità. Rivolta agli altri o a se stessi poco importa, il  massimo comune denominatore è sempre lo stesso: i legittimi destinatari della veritas sono orfani di un diritto di cui ignorano l’esistenza. Le giustificazioni addotte dai censori sono riconducibili talora all’etica, talora al mantenimento di un ordine sociale, talora, sic et simpliciter, al ruolo istituzionale ricoperto.  Ma dietro a tutto ciò vi è comunque una logica, un assunto morale imprescindibile: il popolo è troppo stupido per capire, se cerca di partecipare alla gestione dei propri interessi, combinerà senz’altro guai, di conseguenza sarebbe immorale e ingiusto consentirgli di farlo . Bisogna ammansire il gregge smarrito, impedirgli di agitarsi scalpitante e selvaggio e di distruggere tutto. È la stessa logica che vieta di lasciare che un bambino di tre anni attraversi la strada: non gli si concede questo tipo di libertà perché non è capace di usarla.
L’articolo, estratto da www.wikipedia.org  parte dalla nozione di censura analizzandone i risvolti  nelle aree tematico-organizzative in cui essa si annida e, grazie alla teoria del modello di propaganda elaborata da Noam Chomsky ed Edward S. Herman , arriva a “stanare” i sofismi con cui essa è stata giustificata.
Censura:
Per censura si intende il controllo della comunicazione verbale o di altre forme di espressione da parte di una autorità generalmente associata al potere politico. Nella maggior parte dei casi si intende che tale controllo sia applicato all’ambito della comunicazione pubblica, per esempio quella per mezzo della stampa o dei mass media; ma si può anche riferire al controllo dell’espressione dei singoli.
Fra i significati specifici che il termine può assumere in contesti particolari si possono citare i seguenti tipi di censura.
Censura militare
La censura militare impedisce ai singoli soldati di esprimere opinioni e divulgare informazioni che possono mettere in cattiva luce l’istituzione militare o possono comprometterne la sicurezza.
Censura politica
Nei regimi autoritari la censura politica impedisce a individui, associazioni, partiti e mezzi di informazione di divulgare informazioni ed esprimere opinioni contrarie alle opinioni del potere esecutivo. Tale censura si realizza attraverso il divieto di toccare taluni argomenti o attraverso il controllo preventivo dei contenuti divulgati dai mezzi di informazione.

Censura religiosa
La censura religiosa è presente in molte religioni sia in passato sia oggi. Fra gli esempi storici si ricorda l’Indice dei libri proibiti della Chiesa Cattolica abolito nel secolo scorso. Dato il contesto storico questo specifico esempio è, secondo alcuni, da ritenersi, in realtà, un caso di censura politica, più che religiosa. Secondo altri questa osservazione è abbastanza banale, dato che qualsiasi attività umana avviene sempre in “un contesto storico”.
Censura nelle carceri
Nei sistemi carcerari la censura serve a impedire che persone sottoposte a restrizione della libertà possano, attraverso i mezzi di comunicazione loro solitamente concessi (telefono, corrispondenza, colloqui con i familiari), continuare a delinquere.
Censura morale ed estetica
La censura morale ha lo scopo di impedire che messaggi ritenuti moralmente scorretti, offensivi, volgari o altrimenti sconvenienti possano raggiungere il pubblico o farlo in modo indiscriminato. Un esempio è la censura applicata alla pornografia e alle rappresentazioni esplicite di violenza, che ne limita solitamente l’accessibilità da parte di minori.
Autocensura
Si parla invece di autocensura quando la censura è realizzata dal soggetto che è chiamato a esprimere opinioni e a divulgare informazioni, allo scopo di evitare di divulgare contenuti sgraditi a terzi o allo scopo di non incorrere in censura. L’organizzazione delle imprese editoriali presuppone, inevitabilmente, una forma di controllo e selezione degli articoli da parte del direttore responsabile, sia per una questione di responsabilità per omesso controllo, in cui altrimenti questi potrebbe incorrere, sia per garantire la c.d. “linea editoriale” della testata. In quest’ultimo caso, il diritto di cronaca del giornalista ed il carattere di “impresa di tendenza” della testata entrano in conflitto, ma si tratta di un profilo rispetto al quale, per la sua delicatezza, nel nostro ordinamento non sono state previste risposte di legge.
Censura cinematografica
La censura nel cinema è un istituto che risale già all’epoca dell’Italia del Regno. Durante l’epoca di Giovanni Giolitti vennero infatti istituite delle apposite commissioni (presso il Ministero dell’Interno), con lo scopo di proibire la proiezione di film offensivi alla morale e al buon costume. Il provvedimento fu adottato con legge del 1913, n. 785.
Nel 1919, con regio decreto n. 1953, la stessa commissione acquisiva anche il potere di lettura preventiva dei copioni. Durante il Fascismo, la censura venne “potenziata” sia in senso preventivo, sia per “istruire” le folle ai valori del regime, tant’è che nel 1934 venne istituita una Direzione Generale per la Cinematografia.
Nel dopoguerra, con la nuova Costituzione italiana del 1948, l’art. 21 (libertà di manifestazione del pensiero) sancisce che sono vietati gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. Tuttavia, la normativa oggi in vigore risale solamente alla legge n. 161 del 21 aprile 1962, sulla Revisione dei film e dei lavori teatrali.
In base a tale legge, il parere sul film viene dato da un’apposita Commissione di primo grado (e da una di secondo grado per i ricorsi), mentre il nulla osta è rilasciato dal Ministero del Turismo e dello Spettacolo.
Di particolare importanza è anche l’art. 5 della legge, relativo alla tutela dei minori (in relazione alla particolare sensibilità dell’età evolutiva ed alle esigenze della sua tutela morale): in alcuni casi, il nulla osta può essere concesso, ma a patto che la visione del film sia vietata ai minori di 14 o 18 anni.
In caso di negazione del nulla osta o di non ammissione dei minori, l’art. 7 stabilisce che si può ricorrere alla Commissione di secondo grado entro 20 giorni. In caso di ulteriore rifiuto, è possibile il ricorso al TAR.
Oggi, vista la soppressione del Ministero del Turismo e dello Spettacolo, le sue funzioni sono state delegate, dal 1998, al nuovo Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Sempre nel 1998 veniva abrogato l’art. 11, rimuovendo quindi la censura dalle opere teatrali. L’ultimo film vittima della censura (ne fu ordinato il sequestro) risale proprio a quell’anno: si tratta del contestatissimo Totò che visse due volte, di Daniele Ciprì e Franco Maresco.
In materia di censura e tutela dello spettatore è intervenuta anche la l. n. 203 del 1995, per cui la trasmissione di film che contengano immagini di sesso o di violenza tali da poter incidere negativamente sulla sensibilità dei minori, è ammessa (…) solo nella fascia oraria fra le 23 e le 7.
Negli USA non esiste censura cinematografica, ma la classificazione dei film viene fatta direttamente dall’MPAA, Motion Picture Association of America, che raggruppa i 7 grandi studios di Hollywood: Buena Vista (Walt Disney), Sony Pictures, Metro-Goldwyn-Mayer, Paramount Pictures, Twentieth Century Fox (News Corp.), Universal Studios (NBC Universal) e Warner Bros. Pictures (AOL Time Warner).
L’MPAA attribuisce ai propri film 5 tipologie di classificazione: Rated G: General audiencese, sono ammessi spettatori di tutte le eta’. Rated PG: Parental guidance suggested, suggerito l’accompagnamento dei genitori, alcuni contenuti potrebbero non essere adatti per i bambini. Rated PG-13: Si richiama fortemente l’attenzione dei genitori, alcuni contenuti potrebbero essere inappropriati per bambini al di sotto dei 13 anni. Rated R: Restricted, al di sotto dei 17 anni e’ necessario essere accompagnati da genitori o da un adulto. NC-17: Non e’ consentito l’ingresso ai minori di 17 anni. Questa classificazione e’ composta da marchi protetti e puo’ essere applicata solo ai film delle 7 major. La classificazione X-rated, che non e’ mai stata registrata, veniva utilizzata inizialmente anche per film con contenuto per un pubblico adulto quali Arancia Meccanica. Poiché l’industria della pornografia ha iniziato ad utilizzare questa classificazione per i propri film, le major l’hanno sostituita nel 1990 creando il marchio registrato NC-17.
Censura nei cartoni animati
La censura dei cartoni animati impedisce al pubblico di vedere i cartoni giapponesi come sono stati pensati originalmente. La causa della censura si può ricondurre alla volontà di adattare cartoni per adolescenti (o addirittura per adulti) a un pubblico infantile. Altri sostengono che tale censura sia motivata da un tentativo di allargare il target di chi acquista giocattoli o oggetti vari relativi ai cartoni più amati. Ma il vero motivo potrebbe stare nel fatto che in Italia i cartoni animati sono considerati soltanto “roba da bambini”, e dunque devono essere pesantemente censurati per renderli adatti ad un pubblico di giovanissimi e per evitare le reazioni delle associazioni dei genitori, Moige in testa, che non vedono di buon occhio l’animazione giapponese. Ciò porta di fatto alla snaturazione dell’anime. Molti pensano che la censura potrebbe essere evitata trasmettendo i cartoni in seconda serata.
Estratto da “http://it.wikipedia.org/wiki/Censura
Quarto potere
Nell’ambito del diritto e della separazione dei poteri, si indica con quarto potere la capacità dei media di influenzare le opinioni e le scelte dell’elettorato.
Il concetto emerse con la diffusione della stampa e l’enorme diffusione della televisione, che è diventata l’unica fonte di informazione per la stragrande maggioranza della popolazione dei paesi democratici, ha reso ancora più attuale il problema del riconoscimento costituzionale.
I rischi principali per la democrazia in seguito ad un uso improprio di questo potere, sono costituiti dal controllo politico dei mezzi di informazione e dall’accentramento di essi nelle mani di un ristretto gruppo di persone (solitamente grandi aziende). In questi due casi infatti, considerando che coloro che controllano i media tendono in genere a filtrare le informazioni che sono in contrasto con i propri interessi, si avrebbe una mancanza di plura
lismo, e si ostacolerebbe quindi la possibilità dei cittadini-elettori di formarsi delle opinioni informate e di attuare delle scelte informate
Il modello di propaganda è una teoria avanzata da Edward S. Herman e Noam Chomsky che tenta di spiegare la presunta distorsione dei mass media (media bias) in termini di cause economiche strutturali.
Presentata per la prima volta nel libro La fabbrica del consenso (Manufacturing Consent: the Political Economy of the Mass Media), la teoria vede i media come delle imprese che vendono un prodotto — lettori e pubblico piuttosto che notizie — ad altre imprese (gli inserzionisti pubblicitari). La teoria postula cinque “filtri” che determinano il tipo di notizie che vengono alla fine pubblicate, e che sono:
1. la proprietà
2. i redditi (funding)
3. le fonti di notizie (sourcing)
4. la reazione negativa (flak)
5. l’ideologia (quella anticomunista nel caso dei media americani).
I primi tre filtri sono i più importanti.
Sebbene il modello fosse basato principalmente sui media degli USA, Chomsky e Herman credono che la teoria sia applicabile a tutti i paesi che condividono la struttura economica di base che il modello postula come causa della distorsione dei media.
Herman e Chomsky sostengono che siccome tutti i media dominanti sono grandi corporation che fanno a loro volta parte di conglomerati (conglomerates) più grandi, come Westinghouse o General Electric, che si estendono oltre i settori tradizionali dei media, queste aziende hanno forti interessi che potrebbero venire influenzati sfavorevolmente se alcune informazioni venissero divulgate. Secondo questo ragionamento, c’è da aspettarsi che le notizie che vanno in conflitto con gli interessi di coloro che posseggono il mezzo di comunicazione, vengano distorte.
Gli autori sostengono che l’importanza del filtro proprietà è dovuta al fatto che le corporazioni sono soggette al controllo degli azionisti nel contesto di una economia di mercato orientata al profitto. Chomsky e Herman osservano:
Se i manager non riescono a portare avanti azioni che favoriscano il guadagno degli azionisti, gli investitori istituzionali saranno portati a vendere azioni (facendone abbassare il prezzo), o ad essere in sintonia con terzi che ne stiano valutando l’acquisto (p. 11).
Da ciò segue che nei casi in cui massimizzare il profitto significhi sacrificare l’obiettività delle notizie, le notizie che alla fine verranno pubblicate saranno fondamentalmente distorte, qualora su queste i manager avessero un conflitto di interessi.
Osserva Herman, intervistato da David Ross:
Ne “La fabbrica del consenso”, originariamente pubblicato nel 1988 ma rivisto nel 2002, mettiamo in evidenza gli interessi di coloro che controllano 25 delle più grosse corporazioni mediatiche. In mezzo alla tabella c’è il New York Times, proprietà della famiglia Sulzberger. Al tempo, le loro azioni valevano mezzo miliardo di dollari. Adesso valgono probabilmente intorno a 1,2 miliardi di dollari. Stiamo parlando perciò di persone molto ricche facenti parte dell’establishment corporativo. L’idea secondo cui queste persone lascerebbero che i propri strumenti facciano qualcosa che potrebbe risultare contrario agli interessi della comunità corporativa è senza senso.
Gli autori sostengono anche che i media di maggiore diffusione dipendono pesantemente dagli introiti pubblicitari per sopravvivere. Un giornale come il New York Times, per esempio, deriva il 75% dei suoi ricavi dalla pubblicità. I giornali in generale ricevono in media il 70 percento dei loro introiti dalla pubblicità, la televisione il 95%. Tutte le stazioni televisive e tutti i network hanno persone che vanno in giro per cercare di vendere i loro programmi alle aziende. Le devono convincere dei meriti dei programmi in cui le aziende vogliono reclamizzare.
Gli autori suggeriscono che questo filtro si capisce meglio collocandolo in un tradizionale contesto di business. Sostengono che un giornale, come qualunque altra azienda, ha un prodotto che offre al suo pubblico (o clientela). In questo caso, tuttavia, il prodotto è composto dai lettori ricchi (affluent) che comprano il giornale — consistenti anche nel settore istruito della popolazione che ha potere decisionale — mentre i clienti comprendono le imprese che pagano per reclamizzare i loro prodotti. Secondo questo “filtro”, le notizie stesse non sono nient’altro che un “riempitivo” per far sì che lettori privilegiati vedano le pubblicità che costituiscono il vero contenuto, e che quindi avrà la forma che più si adatta ad attrarre popolazione istruita con potere decisionale. Le storie che vadano in conflitto col loro “carattere di acquirenti” , si sostiene, tenderanno ad essere marginalizzate o escluse, come anche informazioni che presentino una visione del mondo contrastante con gli interessi dei pubblicitari.
La teoria sostiene che coloro che acquistano il giornale sono a loro volta il prodotto che viene venduto alle imprese che acquistano spazi pubblicitari; il giornale in sé ha solo marginalmente il ruolo di prodotto.
Osserva Herman, intervistato da David Ross:
Le aziende […] non solo vogliono una larga audience, vogliono anche un’audience d’elite – più soldi l’audience ha e meglio è. Non vogliono disturbare l’audience. Vogliono ciò che si definisce “un ambiente favorevole alla vendita” dei propri prodotti. Per cui c’è bisogno di competere per le aziende, e queste sono la principale fonte di finanziamento. Non c’è dubbio che le aziende influenzano ciò che fanno i media. Non interferiscono in continuazione. Non telefonano ai media per richiamarli all’ordine; non funziona così. La loro principale influenza deriva dal fatto che i media devono competere per loro, e i media devono convincere le aziende che i loro programmi soddisfano i loro bisogni.
Alcune aziende praticamente dettano condizioni specifiche sui programmi. Per esempio, Procter and Gamble, uno dei più grossi acquirenti di pubblicità, ha una regola pubblicitaria scritta. L’azienda non favorisce programmi che insultano le forze armate o che insinuano che la comunità imprenditoriale non sia una comunità benevola e spirituale. L’eccellente libro di Ben Bagdikian, “The Media Monopoly”’, cita direttamente Procter and Gamble. Egli mostra inoltre come certe aziende forniscono indicazioni dicendo che reclamizzeranno soltanto in quei media che si confanno a “certi standard”, standard che in realtà sono di natura politica.
Per cui, se sei un giornale di sinistra, se veramente hai un messaggio che va a disturbare la comunità imprenditoriale, nessuno ti comprerà spazi pubblicitari. Questo filtro delimita i media che potranno ricevere contratti pubblicitari, e perciò, chi potrà permettersi di spendere un sacco di soldi per produrre programmi di buona qualità. Questo filtro ha effetto anche sulla programmazione e nella cernita di notizie in quanto i media non vogliono offendere e far così scappare le aziende.
Le fonti di notizie
Il terzo filtro sostiene che i mass media hanno bisogno di un flusso costante di informazioni per soddisfare la loro richiesta giornaliera di notizie. In un’economia industrializzata, dove i consumatori richiedono informazioni su molteplici eventi globali, essi sostengono che questo compito può essere assolto solo dai settori finanziari e del governo, che possiedono le necessarie risorse materiali. Questi comprendono principalmente Il Pentagono e altri enti governativi. Chomsky e Herman sostengono quindi che tra i media e le parti del governo sorge una “relazione simbiotica”, sostenuta da necessità economiche e reciprocità di interessi. D’altra parte, governo e promotori di notizie tentano di rendere più semplice per gli organi di informazione, l’acquisto dei loro servizi; secondo gli autori (p. 22), essi
* li forniscono di centri in cui riunirsi
* danno in anticipo ai giornalisti copie di discorsi o di rapporti futuri
* programmano le conferenze stampa in ore adatte alle scadenze dei notiziari
* scrivono lanci stampa i
n un linguaggio sfruttabile
* organizzano attentamente le loro conferenze stampa e sessioni fotografiche
D’altra parte i media diventano riluttanti a pubblicare articoli che potrebbero danneggiare gli interessi corporativi che forniscono loro le risorse dalle quali dipendono. “È molto difficile dare del bugiardo alle autorità da cui si dipende, anche se mentono spudoratamente. (p. 22)”
La complessità di questa presunta relazione dà anche origine ad una “divisione morale del lavoro”, in cui “i funzionari sono coloro che possiedono e forniscono i fatti”, mentre i “reporter hanno il mero compito di riceverli da loro”. Si suppone quindi che i giornalisti adottino un atteggiamento acritico in modo da accettare i valori corporativi senza sperimentare la dissonanza cognitiva.
La risposta negativa
Il termine “flak” (fuoco contraereo) è stato usato dagli autori per definire quegli sforzi mirati a screditare organizzazioni e individui che siano in disaccordo (o sollevino dubbi) con le assunzioni prevalenti, favorevoli al potere costituito. Mentre i primi tre fattori “filtranti” sono una conseguenza dei meccanismi del mercato, il flak è caratterizzato da sforzi concertati ed intenzionali per gestire l’informazione pubblica.
L’ideologia (sostitutiva dell’anti-comunismo)
I sostenitori del modello di propaganda di Chomsky e Herman sostengono che, con la disgregazione dell’Unione Sovietica, si sia necessariamente persa l’enfasi principale del “sistema propagandistico”, in questo caso l’anti-comunismo, ed abbia bisogno di un sostituto. Chomsky e Herman sostengono che un possibile sostituto per l’ideologia centrale dell’anti-comunismo sembra essere emerso nella forma di “anti-terrorismo”, dove “terrorismo” viene grossolanamente definito dai due come qualsiasi opposizione alla politica estera degli Stati Uniti.
Sintesi
Gli autori riassumono quindi così la loro teoria: “Un modello di propaganda plausibile può basarsi inizialmente su assunzioni guidate su un mercato libero non particolarmente controverse. Essenzialmente, i media privati sono grosse aziende che vendono un prodotto (lettori e spettatori) ad altre imprese (i pubblicitari). I media nazionali tipicamente hanno come target e servono le opinioni d’elite, gruppi che, da una parte forniscono un “profilo” ottimale per gli scopi dei pubblicitari, e dall’altra prendono parte al processo decisionale della sfera pubblica e privata. I media nazionali non riuscirebbero ad andare incontro ai bisogni del loro pubblico elitario se non presentassero un ritratto tollerabilmente realistico del mondo. Ma il loro “scopo societario” richiede anche che i media riflettano gli interessi e le preoccupazioni dei venditori, dei compratori, e delle istituzioni governative e private dominate da questi gruppi (p. 303).”
Riscontri empirici
Nel libro La fabbrica del consenso (Manufacturing Consent) all’esposizione teorica del modello segue un’ampia sezione nella quale gli autori testano la validità del modello verificandone la validità in casi specifici. Si aspettano cioè che se il modello è corretto e i filtri influenzano davvero il contenuto dei media, allora i media mostreranno di essere parziali, favorendo sistematicamente gli interessi delle corporazioni.
Noam Chomsky disse, “Il primo modo in cui abbiamo messo alla prova il modello ne La Fabbrica del Consenso è stato di sottoporlo alla prova più dura: lasciamo scegliere il terreno di confronto agli oppositori del modello. […] Abbiamo cioè verificato che modello fosse valido proprio per quegli esempi che gli avversari hanno scelto a sostegno della propria tesi” Perciò il libro studia proprio gli esempi considerati come paradigmatici dell’indipendenza della stampa, come la guerra nel Vietnam, il Watergate, e l’Iran-Contra Affair, e contesta che questi esempi confermano il modello.
Guardarono inoltre a quelli che essi percepivano come “gruppi di controllo storici”, riscontrabili naturalmente, nei quali due eventi, simili nelle loro proprietà rilevanti ma differenti nell’attitudine aspettata dai media verso di essi, sono messi in contrasto utilizzando misure obiettive come la copertura di eventi chiave (misurati in pollici di colonna) o editoriali che favorivano una particolare questione (misurati in numero).
Alla fine, gli autori esaminano quali punti di vista credano siano espressi nei media. In un caso, gli autori hanno esaminato più di cinquanta degli articoli di Stephen Kinzer sul Nicaragua nel New York Times. Mostrano che Kinzer non riesce a menzionare una sola persona in Nicaragua che sia pro-sandinista e contrastano questo con i sondaggi che riportano un supporto complessivo del 9% per tutte le parti dell’opposizione. Basandosi su questo esempio e altri selezionati, gli autori concludono che questa parzialità persistente può solo essere spiegata con un modello come quello che propongono. (“[Sono solo] il 9% della popolazione ma hanno il 100% di Stephen Kinser,” sentenzia Chomsky.)
Conclude Chomsky: “abbiamo studiato una grande quantità di casi, da ogni punto di vista metodologico che siamo stati in grado di pensare, e tutti supportano il modello di propaganda. E da ora ci sono migliaia di pagine di materiale simile che conferma la tesi in libri ed articoli anche di altre persone. Difatti, azzarderei dire che il modello di propaganda è una delle tesi meglio confermate delle scienze sociali. In realtà, che io sappia, non c’è stata alcuna seria contro-discussione di questa tesi.”
Uso della teoria
Dalla pubblicazione di Manufacturing Consent, sia Herman che Chomsky hanno adottato la teoria e le hanno assegnato un ruolo prominente nei loro scritti. In particolare Chomsky ne ha fatto un uso estensivo per tener conto delle attitudini dei media verso un ampio raggio di eventi, come la guerra nel Golfo (1990), l’invasione di Panama (1989) e l’invasione dell’Iraq (2003). Herman, cercando di far stabilire una entità con mandato istituzionale per analizzare il funzionamento dei media, si associò al Fairness and Accuracy in Reporting (FAIR, imparzialità e accuratezza nel riportare le notizie), che ha criticato e tentato di documentare le parzialità e le censura dei media dal 1986.
Con l’emergere del World Wide Web come mezzo di comunicazione economico ma potenzialmente di largo raggio, sono sorti un numero di siti web indipendenti che adottano il modello di propaganda per osservare da vicino i media. Probabilmente il più consistente e serio di questi è MediaLens, un sito basato nel Regno Unito, di David Edwards e David Cromwell.
Controllo di applicabilità in altri paesi
Chomsky ha questo da dire:
Raramente è stato fatto in maniera anche solo vagamente sistematica. C’è uno studio sui media britannici, da un buon gruppo media di Glasgow. Interessante un lavoro sulla copertura del British Central America, compiuto da Mark Curtis nel suo libro Ambiguità del Potere. È stato fatto del lavoro sulla Francia, soprattutto in Belgio, ed inoltre un libro recente di Serge Halimi (editore di Le Monde diplomatique). C’è uno studio minuzioso di uno studente danese, che applica i metodi che Ed Herman ha utilizzato nello studiare le reazioni dei media degli Stati Uniti alle elezioni (El Salvador, Nicaragua) a 14 dei maggiori giornali europei. […] Risultati interessanti. Discussi un po’ (insieme ad altri) in una nota nel capitolo 5 del mio libro Deterring Democracy [1]
* Quarto potere (diritto)
* Mistificazione
* Alcuni critici non considerano il modello di propaganda un modello socio-economico, ma lo svalutano come parte della teoria del complotto.
*  Chomsky, Noam. Understanding Power: the Indispensable Chomsky. New York: the New Press, 2002.
* Herman, Edward S. and Chomsky, Noam. Manufacturing Consent: the Political Economy of the Mass Media. New York: Pantheon Books, 1988, traduzione italiana La fabbrica del consenso, Marco Tropea Editore, 1998.
* Herman, Edward S. ‘The Propaganda Model: A Retrospective,’ Against All Reason, December 9, 2003.
* Klaehn, Jeff
ery (ed.) Filtering the News: Essays on Herman and Chomsky’s Propaganda Mod

Fonte: www.wikipedia.org
Estratto da “http://it.wikipedia.org/wiki/Modello_di_propaganda

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